Ho conosciuto Rosario Livatino nel dicembre 1977, quando entrambi ci siamo trovati a lavorare come vice direttori nello stesso stanzone degli uffici finanziari di Agrigento. Colgo qui l’occasione per ricordare l’uomo e il magistrato, il cui assassinio ha testimoniato il suo estremo sacrificio alla causa della giustizia.
Ad Agrigento, in quei vecchi e stantii locali di un palazzo che in tempi migliori era stato un albergo di lusso affacciato sul mare, abbiamo lavorato insieme per meno di un anno, scambiandoci idee, confidenze, consigli, opinioni.
Fin dal primo incontro Rosario si è rivelato come un collega e amico affidabile, buono, mite, leale, generoso, serio, riflessivo. Una persona sulla quale poter contare in qualsiasi occasione, che a tutti trasmetteva sensazioni di serenità e sicurezza.
Con lui avevo molte cose in comune: quasi coetanei, eravamo due ragazzi degli anni Cinquanta, entrambi figli unici, entrambi vincitori dello stesso concorso ed entrambi destinati presto ad entrare in magistratura. Toccò a me per primo lasciare Agrigento per rientrare a Palermo, ma in tutti questi anni, dal 1978 ad ora, e dopo che Rosario è stato ucciso in un agguato mafioso, sempre di più ho sentito la mancanza, l’assenza di un amico e collega come lui, di una persona dalle qualità d’animo e professionali ineguagliabili, capace di rendere il lavorare insieme un’occasione di arricchimento e di crescita in uno spirito di solidarietà umana, nell’adempimento silenzioso, costante e instancabile dei propri compiti.
Come magistrato Rosario Livatino, profondamente cristiano, certamente credeva che la fede non potesse essere staccata dalla vita e dalla professione. La sua vita e la sua morte dimostrano chiaramente come il magistrato Livatino abbia voluto fortemente contrastare la barbarie mafiosa e contribuire alla realizzazione di una società sempre più caratterizzata dal rispetto dell’altro e dalla solidarietà.
Rosario Livatino si è occupato ad Agrigento delle più delicate indagini antimafia, ma anche di criminalità comune. In particolare si è occupato dal 1985 dell’indagine poi conosciuta negli anni Novanta, dopo la sua morte, come la “Tangentopoli siciliana”. E la sua azione antimafia ha conseguito importanti risultati, in particolare attraverso lo strumento della confisca dei beni alla criminalità e con la lotta alla corruzione.
A fronte della testimonianza di impegno, serietà e grande professionalità di Rosario Livatino appare impropria e addirittura sbalorditiva l’affermazione dell’allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga che, riferendosi a Livatino, disse: “Non è possibile che si creda che un ragazzino, solo perché ha fatto il concorso di diritto romano (sic.!) sia in grado di condurre indagini complesse contro la mafia e il traffico di droga”. Dopo questa affermazione Rosario verrà ricordato come “il giudice ragazzino”, attributo che per me adesso equivale al riconoscimento delle doti di: purezza, lealtà, coraggio, abnegazione e professionalità.
Per Rosario era importante che il giudice offrisse di se stesso l’immagine non di una persona austera o severa ma di una persona seria, equilibrata, responsabile, di una persona comprensiva e umana, capace di condannare, ma anche di capire. Ha detto anche, lui profondamente cristiano, che quando moriremo non ci sarà chiesto quanto siamo stati credenti, ma quanto siamo stati credibili.
Secondo Livatino, il ruolo del giudice non può sfuggire al cammino della storia. Il magistrato deve piuttosto essere partecipe di un processo continuo di adeguamento. In questa prospettiva, riformare la giustizia, in senso soggettivo ed oggettivo, non può essere compito di pochi magistrati ma di tanti: dello Stato, dei soggetti collettivi, della stessa opinione pubblica. Recuperare, infatti, il diritto come riferimento unitario della convivenza collettiva non può essere, in una democrazia moderna, compito di una minoranza.
Dell’assassinio di Rosario Livatino c’è stato un eroico testimone, Pietro Ivano Nava, un rappresentante bergamasco di porte blindate, che vide tutta la scena dall’interno della sua auto e avvisò la polizia da un telefono pubblico (all’epoca non esistevano ancora i telefoni cellulari). In seguito alle sue dichiarazioni, per evitare la vendetta mafiosa, Nava fu costretto a cambiare nome, a cambiare vita e ad abbandonare la sua famiglia e l’Italia. Si tratta di un vero eroe, la cui testimonianza ha permesso di condannare all’ergastolo esecutori e mandanti dell’assassinio.
Rosario fu ucciso dalla Stidda agrigentina, una organizzazione mafiosa in contrasto con Cosa Nostra, e dalla motivazione della sentenza di condanna emerge che l’uccisione del magistrato venne decisa per reagire alla severità delle sentenze del giudice e contemporaneamente per dare un messaggio di minaccia ai magistrati impegnati nella lotta alla mafia. Inoltre, con tale delitto, la Stidda volle dare una dimostrazione di forza a Cosa Nostra, eliminando quel giudice che, a 36 anni, aveva scoperto l’esistenza di questa nuova organizzazione criminale.
Livatino, inoltre, era uno di quei servitori dello Stato e della fede per i quali occorre compiere sempre e fino in fondo il proprio dovere, qualunque sia il sacrificio da sopportare ed il prezzo da pagare; costi quel che costi. In questo sta l’essenza della dignità dell’uomo.
Rosario era un uomo profondamente cristiano, che informò la sua vita agli insegnamenti del Vangelo. Nel maggio del 1993, nel corso della sua visita in Sicilia, Papa Giovanni Paolo II ha definito Rosario Livatino “Martire della giustizia e indirettamente della fede” e ha pronunciato un famoso anatema contro la mafia, invitando gli uomini di questa organizzazione a convertirsi e a cambiare vita.
Ricordo una canzone degli anni Sessanta dedicata a “due uomini veri”, nella quale l’autore, riferendosi all’uccisione di un amico dice: “avevo un amico dall’altra parte del mare / vedeva lontano ed il suo sguardo era chiaro”. Così era per me Rosario Livatino. La canzone continua, dicendo che “in questo mondo buio se una stella si accende / non si ha pace se non la si spegne per sempre”.
Questo è certamente vero, ma io credo che la stella dell’esempio e del sacrificio di uomini come Rosario Livatino non si spegnerà mai.
del dott. Enrico Buttitta
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