Nel nostro Paese, dobbiamo rendercene conto, le riforme sono impossibili. Non solo quelle grandi, epocali, ma qualunque riforma che non sia minimale, che tocchi interessi particolari, anche i minori…
Gli italiani in verità le riforme le vorrebbero, ma solo quelle che direttamente non li riguardano, che in qualche modo colpiscono qualcun altro. Ognuno pretende di avere ragione e rifiuta di essere definito corporativo o di apparire come parte contraria ad un interesse generale. Non volendo curare neppure i foruncoli, alla fine si infetta tutto il corpo. E poi si cercheranno i colpevoli. Che sono, in sostanza, gli stessi pazienti che rifiutano ogni cura, rifiutano i medici che la consigliano, protestano ma amano i maestri del rinvio, chi li accontenta, nulla facendo per curare i loro stessi mali.
Ognuno ostenta buone ragioni per evitare la cura: i sindaci dei mini comuni per non aggregarsi, i presidenti delle costose e inutili province per non perdere il posto faticosamente raggiunto, gli avvocati per non perdere il tribunalino sotto casa, i notai per non perdere i propri privilegi. Non dimenticando la potente corporazione dei tassisti. Tutti trovano nel Parlamento, nel Governo, nei partiti, nell’alta burocrazia, alleati, talvolta inconsapevoli spesso consapevolissimi, che comprendono le loro ragioni e le sostengono.
Del resto essi stessi mai voterebbero (se non costretti) per la riduzione del proprio numero, per regole più stringenti del proprio lavoro, per sistemi elettorali più faticosi ma nell’interesse dei cittadini e non dei capi partito. Le riforme, come tutti i cambiamenti, creano stress, ed esso va evitato, combattuto.
Ogni cittadino ha, nel voto, la propria arma e la gestisce nel proprio interesse, purtroppo sempre più particolare. L’eletto non ignora tutto ciò e cerca di consentire, di adeguarsi, quando non di favorire. Tutti sanno che alla fine un conto da pagare ci sarà ma lo pagherà qualcun altro.
Se ci fosse stata e ci fosse una classe dirigente degna di questo nome, dotata di responsabilità e di dignità, consapevole del proprio ruolo, le cose sarebbero diverse.
È vero, ma con la democrazia che viviamo, pur con tutti i suoi limiti, dobbiamo affermare che la dirigenza politica rispecchia valori e difetti, vizi e virtù, della società che la esprime. Per questo, diversamente da altri Paesi, in Italia le riforme sono impossibili e quando proprio si devono fare, le si rende deboli, inefficaci, pressoché inutili. Anche in un contesto emergenziale (ma da noi c’è sempre emergenza) esse assumono un carattere ordinario, di quotidianità.
Davanti a noi sembra non esserci la grave crisi economica ma le regole del congresso del PD, il nome da dare al vecchio PDL, alle alleanze da tradire e alle occasioni per farlo, la sentenza da attendere, l’elettore, magari l’evasore, da accontentare. Quando il mare è in tempesta e la nave in difficoltà il comandante non può ascoltare la voce delle sirene che porta proprio al naufragio contro le rocce.
Omero ci ricorda che Ulisse, proprio vicino alle coste italiane, pare di Sorrento, fece tappare le orecchie al suo equipaggio e si fece legare all’albero per capire ma non cedere ai pericoli e proseguire la giusta rotta, salvando la nave. Non pretendiamo tanto: siamo consapevoli di non essere governati da alcun Ulisse ma sappiamo che la nostra barca naviga male, pericolosamente.
Sappiamo anche che per garantire la sopravvivenza e non finire come gli attuali conterranei di Ulisse, occorre l’autorevolezza del coraggio, della chiarezza, della decisione, della velocità di scelte definitive e di esecuzione immediata.
Le sirene insistono nel loro canto, sono convinte di poter ritentare magari con successo, di rallentare il percorso della nave per impedirlo. Sono convinte che in Italia le riforme si possono impedire: forse perché sono impossibili.
dell’avv. Aventino Frau
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