- Severi controlli per accedere alla centrale nucleare di Zaporizhzhia
- Missile e drone-kamikaze mostrati dai russi come prove di attacchi ucraini
- Il sopralluogo dell’IAEA nell’impianto bombardato
- I boati delle esplosioni in lontananza
- Nervosismo alle stelle e rientro a Rostov sul Don ed a Mosca
Servizio, foto e video di Claudio Beccalossi
Da Berdyansk ad Energodar
Alle ore 5:30 del 1° settembre, il gruppo ha dato l’addio all’Hotel “Ucraina” per poi percorrere le strade ancora insonnolite di Berdyansk in direzione di Zaporizhzhia e della centrale nucleare di Energodar.
La scorta (con militari russi o filorussi dal viso seminascosto che è stato vietato fotografare o riprendere), davanti e dietro, ha assicurato guida e difesa in un’andatura con precedenza, veloce nonostante i numerosi checkpoint da superare senza mai fermarsi nei quali s’è destreggiato abilmente l’autista, certo avvezzo al percorso dalle tante gincane.

Durante il tragitto ha macinato dentro una certa inquietudine dopo le allarmanti notizie del giorno prima riguardo al persistere di bombardamenti nei pressi della centrale nucleare contesa aspramente tra ucraini (nelle vicinanze esterne) e russi (ancora padroni del territorio interno).

Raggiungerla non è parsa proprio una gita di piacere. Ma la cognizione di contribuire, per quanto fattibile, al riscontro veritiero degli avvenimenti ha permesso di raziocinare le preoccupazioni semplicemente… mandandole giù….
Ad un certo punto la colonna s’è arrestata a lato ed i responsabili militari ci hanno invitati a scendere per indossare più agevolmente elmetti e giubbotti antiproiettile in dotazione, alquanto scomodi, per affrontare con un minimo riparo le successive zone a rischio.






Nella centrale nucleare che gli ucraini rivogliono assolutamente
Quindi, appesantiti da quelle parziali protezioni e risaliti a bordo, gli automezzi si sono riavviati fino in prossimità dell’ingresso alla centrale nucleare di Zaporižžja (in ucraino Zaporiz’ka atomna elektrostancija), in località Energodar (a circa 53 km dalla stessa Zaporizhzhia che le dà comunque il nome), dotata di sei reattori nucleari, dalla potenza nominale che supera 5.700 MW in grado di produrre la maggiore capacità elettrica in Europa, primato che la inserisce tra i complessi di produzione d’energia più vasti al mondo. Quanto reso costituisce pressapoco il 50% dell’elettricità data dal nucleare in Ucraina e più d’un quinto della stessa forza totale originata nel Paese. Nella centrale di Energodar, realizzata nei pressi del bacino idrico di Kachovka, sul fiume Dnepr, sorgono sei reattori nucleari di tipo VVER1000 che generano, ciascuno, circa 950 MW. Cinque sono stati collocati tra il 1985 ed il 1989 e l’ultimo nel 1995.

Tallonati come al solito dai militari di scorta, abbiamo superato i rigidi controlli d’accesso all’area seguendo un itinerario predeterminato che, per ragioni di sicurezza, non ha consentito deroghe.

I boati di esplosioni e bombardamenti in lontananza hanno fatto stare sul chi vive accompagnatori e giornalisti, consapevoli che la centrale nucleare da riconquistare è uno scopo primario delle forze ucraine.





Il missile inesploso ed il drone-kamikaze
Ci hanno mostrato i risultati di razzi lanciati in vari punti del complesso che hanno causato guasti apparentemente relativi.
Ma ancor più eloquenti sono stati il missile conficcatosi nel terreno senza esplodere, a non molta distanza dai reattori ed i resti d’un micidiale drone-kamikaze (Aero-Naut Cam Carbon dell’Hacker Motors, Usa), fresco di fabbricazione (2022), caduto sulla centrale nucleare.






Tirato fuori a pezzi da un sacco di plastica e ricomposto sull’asfalto da un militare russo, il drone-suicida è uno schiaffo ben assestato a chi, ancora, confida ingenuamente in una guerra senza l’utilizzo di infidi dispositivi che la creatività bellica dell’uomo-contro ha saputo inventarsi.








La delegazione dell’IAEA dell’Onu all’opera
Durante il sopralluogo è serpeggiata la notizia della presenza nella centrale nucleare della delegazione dell’IAEA (International Atomic Energy Agency), cioè l’AIEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, organizzazione dell’Onu incaricata di controllare il settore dell’energia nucleare), proveniente dalla sede di Vienna via Kyïv, dove il direttore generale Rafael Mariano Grossi (Buenos Aires, Argentina, 29 gennaio 1961) s’è incontrato col presidente ucraino Volodymyr Oleksandrovyč Zelens’kyj (Kryvyj Rih, 25 gennaio 1978) prima della sua missione ad Energodar.
Missione che concerne l’urgenza di garantire la sicurezza e la salvaguardia dell’importante impianto nucleare al centro degli interessi di occupanti russi e di ripretendenti ucraini, con la linea del fronte vicina e con sporadici attacchi alle sue strutture dei quali Russia ed Ucraina s’accusano a vicenda, anche se è lapalissiano il dominio russo del complesso (dove sventola la bandiera di Mosca) che rispedisce al mittente fake news di Kyïv riguardo a bombardamenti russi sulla centrale nella quale questi ultimi si sono agguerritamente insediati.


Nonostante la presenza della commissione dell’IAEA sotto l’egida dell’Onu, ho sentito nettamente, a distanza, l’insistenza dei colpi d’artiglieria nei paraggi della centrale nucleare (bombardamenti in zona che avevano prima costretto a ritardare per diverse ore l’ispezione dei funzionari). Ed ho osservato pure il crescendo d’agitazione dei responsabili militari preposti alla nostra tutela.
Il rincorrere da parte dei giornalisti, in preda ad impulsi da scoop, i rappresentanti dell’IAEA che, guidati, giravano per verificare la consistenza e le conseguenze di missili e quant’altro piombati con premeditazione e con ogni probabilità (secondo logica) dalle linee ucraine, ha ottenuto solo sintetiche dichiarazioni non ufficiali.






Il succo è stata la conferma che le delicate strutture sono state compromesse varie volte dalle incursioni missilistiche.







In seguito a questo responso di massima, s’è poi proceduto alla disattivazione del sesto reattore, unico ancora attivo, produttore dell’elettricità indispensabile al raffreddamento del combustibile nucleare e per altre necessità di sicurezza.
Concitazione e durezza per l’intensificarsi dei colpi distanti
Il nervosismo tra i nostri referenti, intanto, è aumentato quasi come l’escalation delle esplosioni che si sono sentite. Ad un certo punto, ci hanno intimato d’affrettare il passo verso l’uscita, sollecitando i più ritardatari o restii ed accanendosi con veemenza verbale contro chi s’è fermato per scattare foto ai calcinacci d’un edificio lesionato dagli attacchi.
La tensione è degenerata quando un ufficiale in borghese ha esagerato (forse giustamente, dato il momento d’apprensione) con rimbrotti, provocando la momentanea presa in consegna d’un membro d’un servizio stampa militare russo da lui spintonato e caduto a terra.
Ammutoliti ed accondiscendenti, nessuno dei presenti ha protestato per lo scoppio d’asprezza che s’è attribuito all’imprevedibilità di incursioni da parte ucraina, certo a conoscenza della presenza nella centrale nucleare sia di esponenti dell’IAEA che di giornalisti internazionali.






Saliti sul pullman in attesa all’esterno della centrale nucleare, prima di partire abbiamo scorto la lunga teoria di automezzi della delegazione dell’IAEA e della sua consistente e ben armata scorta andarsene altrove.
Il nostro corteo ha lasciato Energodar per il lungo viaggio di ritorno verso Rostov sul Don, a circa 465 km di distanza. Un tragitto pomeridiano e notturno con un cambio di pullman nella semioscurità, consumando il poco cibo al sacco avanzato, per arrivare all’aeroporto militare della città della Russia europea meridionale da dove, alle ore 6:45 del 2 settembre, un aereo ha decollato con noi a bordo verso Mosca.
Seduti stanchi ai propri posti, è piombato il silenzio del riposo tra giornalisti russi e stranieri, accompagnatori militari ed aggregati dell’ultima ora compresi. Pure il brillante e noto giornalista Anders Lomholt ed il suo cameraman del canale televisivo danese TV2 sono stati buoni e zitti senza scambiarsi, come al solito, i loro sanguigni suggerimenti professionali.
I nostri pochi giorni e notti nell’Ucraina-non-più hanno già assunto i connotati d’un ieri di cronaca di guerra diventata reportage, testimonianza, documento. Attraverso filtri e pilotaggi, forse o certo, ma riuscendo, nonostante tutto, a rintracciare l’oltre, ad illuminare un po’ il chiaroscuro, a dare una mano all’informazione il più possibile allargata, obiettiva, vissuta in prima persona.
4 – Ucraina sud-orientale. Dove separatisti e Putin ridisegnano i confini
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