Poche le novità uscite dalle riunioni delle principali Banche Centrali nel mese di settembre. Stando agli analisti, BCE, BOJ e FED hanno seguito un binario sostanzialmente prevedibile e non hanno regalato brividi agli operatori.
Il 13 settembre la BCE ha confermato la politica monetaria già impostata nel giugno scorso. In sintesi, il Quantitative Easing finirà nel 2018. Per ottobre, novembre e dicembre il ritmo dei bond acquistati sarà portato a quindici miliardi al mese dai 30 di settembre (per ulteriori spiegazioni si vedano i ns pezzi del 23 giugno e del 4 settembre). Nessun movimento, poi, è previsto sui tassi di interesse sino a metà 2019. Nel meeting ampio spazio è stato dedicato alle previsioni sulla crescita economica per il 2019 e 2020. Francoforte ha rivisto al ribasso le proprie aspettative portandole al +1,8% (dal +1,9%) per il 2019, e lasciandole invariate al +1,7% per il 2020. L’Istituto ritiene, comunque, ancora solidi i fondamentali dell’eurozona, nonostante i crescenti fattori di rischio legati alle note decisioni sui dazi da oltre-oceano. L’inflazione, nei prossimi anni, è vista ancora leggermente sotto il 2%. Il Governatore della Banca Centrale Europea è tornato sul tema “prezzi” anche lo scorso 24 settembre dalla sede del Parlamento Europeo. L’aumento del costo della vita potrebbe, secondo Draghi, subire un’accelerazione per fine anno.
La BOJ, con il suo Governatore Kuroda, il 19 settembre ha, nuovamente, mantenuto invariate le politiche monetarie espansive attualmente praticate e (fatte di acquisti di titoli di varia natura, anche azionari, e tassi bassi). L’inflazione è ancora lontana dal 2%, obiettivo della Banca Centrale. La crescita dell’economia è ancora insufficiente, anche se è visto in moderata ripresa. I tassi rimarranno al livello di -0,1% per molto tempo. Perplessità rimangono anche in Giappone sulle politiche neo-protezionistiche americane, e sono ancora in fase di valutazione i possibili impatti di questi comportamenti.
Negli Stati Uniti i mercati avevano scontato come per certo l’aumento del costo del denaro di 0,25% nell’incontro del 26 settembre, e così è stato. Il Governatore Powell ha così modificato per la terza volta nel 2018 i tassi di interesse, portandoli al 2,25%. Il percorso, impostato negli ultimi meeting, di rialzo dei Fed Funds Rate è stato, sostanzialmente, confermato anche nell’ultima riunione. Un ulteriore movimento in aumento è, infatti, previsto per dicembre, poi, altri tre sono in programma per il 2019 e uno per il 2020. Il piano di incremento dei tassi, secondo la FED, sta proseguendo e continuerà di pari passo con l’irrobustirsi della crescita economica, attesa al 3,1% quest’anno (in crescita dal 2,8% stimato), e al 2,5% (dal 2,4%) per il 2019. Nulla, però, è già scritto. Molto dipenderà, ha concluso Powell, anche dall’esito degli scontri tra Cina e USA sul tema dazi e sulle conseguenze degli stessi sullo sviluppo dell’economia atlantica.
Il cambio euro/dollaro, dopo la riunione della BCE di settembre, si è rinforzato toccando prima quota 1,17 e poi 1,18. Successivamente, dopo l’aumento dei tassi americani, e a seguito delle tensioni legate all’approvazione della nota di variazione del DEF italiano, il rapporto ha ripiegato sin sotto il livello di 1,16, salvo poi recuperare leggermente.
Matteo Peretti
© Riproduzione riservata