Luciano Bresaola, il “Rico”, ci offre una storia che sul libro “Vilafranca de ‘na olta…” non c’è. E’ inedita. Può darsi la vedremo nella sua successiva fatica. Ancora una volta, fra sentimenti e semplicità, una storia di chi “ha fatto storia” per la propria umanità e disponibilità
Nicola Di Ciomma
“Calisto, l’imprenditor dei Querni”
Care amiche e cari amici. Quale miglior storia se non quella di “Calisto l’imprenditor dei Querni” che può riportarci nella “Vilafranca de ‘na olta”?
Prima e soprattutto dopo la seconda guerra mondiale. Francesco Facincani detto “Calisto”, classe 1906, è il quinto dei sette figli dei contadini Sante e Giuseppina Remelli.
Nell’ordine: Ines, Delfino, Antenore, Thea, Valeria, Vittorino e per l’appunto Francesco.
Sin da bambino, Calisto, si dimostra dotato di vivace intelligenza e straordinaria capacità di apprendimento. Frequenta regolarmente e con profitto la scuola. Sempre promosso, cosa non affatto comune per quei tempi. Ottiene con ottimi voti la licenza di 5^ elementare.
Come si soleva al tempo, assieme a fratelli e sorelle, aiuta il padre nell’azienda di famiglia: fra le prime a diversificare le tradizionali culture, impiantando un frutteto (pesche) e coltivando angurie e meloni. Il lavoro nei campi però “gli va stretto” ed è poco più che ragazzo quando, frequentando la scuola serale, ottiene il diploma di capomastro.
Deve trovare impiego, ma come e dove? Siamo in piena “grande depressione” e di lavoro ce n’è poco, ma Calisto non si scoraggia e dice al padre: “vado all’estero”. Con un paio di pagnotte e venti uova sode nella borsa, inforca la bicicletta e parte in direzione del Brennero.
Giunto a Bressanone, durante una sosta, viene a sapere che proprio lì si è alla ricerca di muratori. Perciò si presenta all’ufficio del lavoro e viene subito chiamato a colloquio. “Da dove vieni e cosa cerchi?” – è quanto il ragazzo si vede chiedere -. “Vengo da Villafranca di Verona, sono partito questa mattina alle quattro con la mia bicicletta, sono qui per un lavoro. Sono diplomato capomastro, ma se serve faccio anche il muratore”.
Fu così che fu assunto.
Come primo lavoro, Calisto, rifece la sponda trentina del lago di Garda e poi la strada Gardesana Superiore.
Cinque anni di duro lavoro e grandi sacrifici, ma fa esperienza e mette da parte un discreto gruzzolo.
Tornato a Quaderni, con i risparmi avviò un’impresa.
Soffiano già “Venti di Guerra”, i tempi sono duri e di soldi ne girano pochi. Col baratto, almeno, si mangia e ci si arrangia: lavori in cambio di latte, carne ,verdura uova , salami.
Nel 1938 Calisto si sposa con Bianca Barlottini che gli darà Niva, Lilia e Laila. Da bravo imprenditore programma tutto, soprattutto le spese. Come gli piaceva spesso raccontare, per evitare di dover pagare la tassa sui celibi, anticipa la data del suo matrimonio. I matrimoni di solito si celebravano in primavera. Lui, invece, si sposa il 31 dicembre.
E qui permettetemi l’ormai consueto “escursus”: con l’intento di dare impulso allo scarso incremento demografico Benito Mussolini, con una legge del 13 febbraio 1927, riesumandone un’altra già introdotta addirittura da Giulio Cesare, istituì la tassa sul celibato. Al compimento del venticinquesimo anno di età, ogni cittadino maschio (le femmine furono escluse probabilmente perché allora ben poche di loro avevano un reddito proprio) che il primo di ogni anno fosse celibe, doveva pagare l’apposita tassa la quale consisteva nel versare, all’Opera Nazionale Maternità ed Infanzia, un contributo fisso di 70 lire oltre ad un contributo variabile calcolato in base al reddito. Il fisso saliva poi a 100 lire (tra i 35 e i 50 anni) per tornare a 70 lire fino ai 65° anno di età, dopo i quali nulla era più dovuto. Nel ventennio la tassa fu più volte aggiornata al rialzo e, trattandosi di una delle più odiate leggi fasciste, fu la prima ad essere abolita già dal governo Badoglio (27 agosto1943). Come ben sapete, però, le tasse sono “dure a morire” e spesso cambiano solo nome. Visto e considerato che oggi esiste la detrazione per il coniuge a carico, non è che per caso, sotto altra forma, sia ancora in vigore la vecchia tassa sul celibato?
Finite le ostilità c’era da demolire e ripristinare quanto distrutto dai bombardamenti e non solo. C’erano da costruire nuove abitazioni per far fronte al vero e proprio “boom” demografico dovuto al rientro delle truppe dal fronte, ed alla ritrovata quotidianità.
E così, per Calisto, si aprono buone opportunità. Il lavoro non gli manca: ci sono case lesionate da ricostruire, oltre al nuovo aeroporto militare da rifare. Calisto è costretto così ad assumere nuovi operai. In giro serve di tutto e così apre anche un magazzino di materiali edili a Villafranca “su la curva del Castel, prima del ponte sul Tion”.
Calisto ha la straordinaria capacità di essere contemporaneamente lungimirante imprenditore, buon commerciante, esperto capomastro ed abilissimo mediatore come dimostra nell’occasione dell’acquisto del suo primo camion.
Si presenta così da Vicentini con in mano il classico portafogli a fisarmonica e, dopo una serrata contrattazione (fingendo di rinunciare all’acquisto… “Ma meteme su’ almanco en fusto de oio!”), raggiunge la stretta di mano finale e l’accordo desiderato e pagamento “su l’ongia”.
Calisto segue personalmente i lavori trasmettendo a tutti la sua esperienza: “Par far la malta bona ghe vol, giusto el cimento e la calsina e abondante aqua e l’importante l’è che la sia mola e ben misià, (molle e ben mescolata, allora non esistevano ancora le betoniere e l’operazione veniva eseguita con un’ apposito attrezzo che assomigliava ad una grossa zappa e che veniva spinto e tirato avanti ed indietro).
La vera forza di Calisto però era un’altra: era una persona solare e molto disponibile, pronta ad aiutare chiunque ne avesse avuto bisogno. Sempre allegro e positivo era famoso per il suo motto: “Se le cose vanno male che il corpo non debba patire!”.
Non esitava a far credito a chi volesse costruirsi la casa o la stalla quando mancavano le possibilità. Anzi li incoraggiava dicendo: “I schei no’ i è mia en problema, te me li darè quando te ghe i è”.
E sono ancora oggi in molti, anche di altri paesi (Valeggio, Roverbella, Mozzecane Malavicina per citarne alcuni), che lo ricordano con stima ed affetto per l’aiuto ricevuto.
L’era la Vilafranca de ‘na olta, quando quasi tutti sapevano fare il muratore o costruire case e stalle.
“I se l’ha fate de sabado e de duminica” e “par tirarle su” bastavano braccia, volontà, materiali e un capomastro.
E dell’ingegnere direte voi?
“De l’ingegner g’he n’era bisogno solo par firmar le carte”.
Rico Bresaola
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