I gestori non sapevano dello sversamento di Pfas e Pfoa, perché Miteni garantiva che queste sostanze venivano puntualmente abbattute e non scaricate
La replica di Viacqua, costituita parte civile, contro le accuse dei manager imputati per reati ambientali.
Analisi delle acque e ricerca delle sostanze inquinanti. Di questo si è parlato oggi all’udienza del “processo Pfas” in cui sono imputati 15 manager di Miteni spa, Icig e Mitsubishi Corporation, accusati a vario titolo di avvelenamento acque, disastro ambientale innominato, gestione di rifiuti non autorizzata, inquinamento ambientale e reati fallimentari.
Sul banco dei testimoni è salita la dottoressa Francesca Da Pra, responsabile dei laboratori di Arpav dal 2010 al 2020 e teste della procura. L’avvocato Marco Tonellotto, che insieme agli avvocati Angelo Merlin, Vittore d’Acquarone e Giulia Bertaiola, rappresenta le società idriche parti civili Acque del Chiampo, Viacqua, Acque Veronesi e Acquevenete ha esibito al teste una notizia di reato, firmata nel 2021 dalla stessa dottoressa Da Pra: si tratta di una serie di analisi sulle acque di dilavamento dei piazzali di Miteni, in cui ancora nel 2021 era possibile rintracciare GenX e altre sostanze chimiche.
“E’ la dimostrazione- spiega Tonellotto – che le sostanze inquinanti persistono a distanza di molto tempo dal loro utilizzo e sono resistite per anni ai dilavamenti, almeno fino all’anno scorso”.
All’inizio dell’udienza alcuni difensori degli imputati hanno depositato una memoria che confuta la versione degli acquedotti, lasciando intendere che i consorzi predecessori di Viacqua fossero a conoscenza degli sversamenti illeciti.
Questa la replica dell’avvocato Marco Tonellotto: “La manovra della difesa, che punta il dito contro il gestore, è priva di ogni fondamento: il sistema delle autorizzazioni rilasciate a Miteni indicava le sostanze che potevano essere scaricate, e tra queste non erano previsti i Pfas. Inoltre, Miteni con relazione tecnica aveva indicato i criteri tecnici di abbattimento di questi composti. Peraltro, proprio la testimonianza odierna ha fatto emergere la circostanza che le sostanze in questione non avevano al tempo limiti normativi che ne consentissero lo scarico, essendo questi stati fissati solo molto dopo e in modo altamente prudenziale. Pertanto gli unici composti scaricabili erano quelli espressamente previsti in autorizzazione, secondo il principio vigente in materia ambientale, per cui è vietato ciò che non è autorizzato.”
La memoria degli avvocati difensori è una replica rispetto alla documentazione presentata da Viacqua nell’udienza del 16 dicembre scorso, che verteva sulle domande di autorizzazione allo scarico del proprio refluo industriale da parte dell’azienda di Trissino.
“Non dimentichiamo – conclude Tonellotto – che il processo è già iniziato, e che le società idriche sono già state individuate dagli stessi giudici come parti civili, cioè parti lese e non come responsabili”.