Cos’è la vergogna? Secondo “Garzanti Linguistica”, si tratta d’un “sentimento di mortificazione derivante dalla consapevolezza che un’azione, un comportamento, un discorso ecc., propri o anche di altri, sono disonorevoli, sconvenienti, ingiusti o indecenti”. Rincara il “Vocabolario Treccani”: la vergogna è un “sentimento più o meno profondo di turbamento e di disagio suscitato dalla coscienza o dal timore della riprovazione e della condanna (morale o sociale) di altri per un’azione, un comportamento o una situazione, che siano o possano essere oggetto di un giudizio sfavorevole, di disprezzo o di discredito”.
E, ancora, cos’è la dignità? Sempre stando a “Garzanti Linguistica”, circoscrive una “nobiltà morale che deriva all’uomo dalla sua natura, dalle sue qualità e insieme rispetto che egli ha di sé e suscita negli altri in virtù di questa sua condizione”. Precisa meglio l’“Enciclopedia Treccani”: la dignità riguarda “la condizione di nobiltà ontologica e morale in cui l’uomo è posto dalla sua natura umana e insieme il rispetto che per tale condizione gli è dovuto e che egli deve a se stesso. La dignità piena e non graduabile di ogni essere umano (il suum di ciascuno), ossia il valore che ogni uomo possiede per il semplice fatto di essere uomo e di esistere è ciò che qualifica la persona, individuo unico e irripetibile. Il valore dell’esistenza individuale è dunque l’autentico fondamento della dignità umana”.
Vergogna e dignità, dunque, due termini che hanno fatto a cazzotti il mattino d’un sabato qualunque nella Verona missionaria (cosiddetta) per antonomasia. Le foto “raccontano” meglio delle parole il tragitto a piedi di un’anonima anziana, “avvistata” nel percorso verso piazzale Olimpia occupato da banchi e bancarelle del mercato rionale d’ogni sabato. Tratto durante il quale la signora ha rovistato in cassonetti e cestini dei rifiuti incontrati sul cammino alla ricerca di qualcosa che potesse andar bene al suo evidente stato di difficoltà e senza che nessuno dei “benpensanti” (da bravi “teorici della solidarietà”) di passaggio avesse avvertito almeno il minimo imbarazzo (da reprimere prontamente) per la toccante scena.


Dopo averla casualmente scorta a frugare in contenitori per la raccolta differenziata di immondizie e contenitori per pattume, ho parcheggiato l’auto per starle appresso e fotografarne per diritto di cronaca lo stanco camminare a debita distanza, col dovuto rispetto per la sua privacy (cioè sempre di spalle) ed auspicando l’occasione di poterla avvicinare per parlarle senza provocare in lei un qualche imbarazzo. Dopo aver curiosato in altri cassonetti e cestini, s’è infine fermata in piazzale Olimpia alla fermata d’un autobus, il n. 13 diretto a Montorio, tirando fuori e tenendo tra le mani il suo regolare biglietto.


Constatato che stava tenendomi d’occhio perché s’era accorta del mio bonario pedinarla, ho deciso di farmi avanti chiedendole, con banale retorica, «Signora, ha bisogno di qualcosa?». La sua pronta replica in italiano, senza alcun accento straniero, è stata perentoria: «No. Non ho bisogno di niente…» Non mi sono azzardato ad insistere e l’ho seguita con lo sguardo mentre, arrivato l’autobus, s’è accodata ad altri utenti per salire per poi obliterare prontamente il suo biglietto.
E mentre il servizio di trasporto pubblico s’allontanava, ho riflettuto sulle definizioni di “vergogna” e “dignità” citate in precedenza. Vergogna per Verona (me compreso) ed i suoi burocratosauri che se ne infischiano di queste “sacche” di rintronante bisogno e dignità dimostrata dall’anziana che, pur essendo in lapalissiano disagio al punto da racimolar improbabili cose tra la spazzatura, ha nicchiato l’aiuto d’occasione d’uno sconosciuto (eventualmente accettabile proprio perché sconosciuto e, quindi, meno “invasivo” di propri decoro e riservatezza) dichiarando addirittura di non necessitare di nulla.
Troverà un qualche sostegno l’anziana senza nome dal grande e silenzioso amor proprio, costretta ad infilar la testa nei cassonetti ma con l’orgoglio e l’onestà d’aver pagato ed utilizzato un biglietto dell’autobus? Lo scetticismo è d’obbligo, come la delusione per le altere “figurine Panini” di Verona che guardano troppo spesso dall’altra parte o privilegiano l’ultimo “migrante”…

Claudio Beccalossi