Presentato il libro del celebre orafo e scultore su simbologia e matematica, connesse al prezioso
“pezzo unico” d’un “tesoretto” scoperto scavando in una cantina di Verona nel novembre 1938
Uno studio… stellare, una ricerca avvincente, una trattazione rivelatrice, un’“intrusione” nell’“arcano” per tradurlo in esplicito, capibile. Addirittura, materialmente ripetitivo. Con più di qualcosina d’esoterico e di filosofico, al passo con Dante Alighieri (od Alighiero, battezzato Durante di Alighiero degli Alighieri, Firenze, 21 maggio/21 giugno 1265 – Ravenna, notte tra il 13 ed il 14 settembre 1321, Sommo Poeta) e la sua “Comedìa” e con Giotto da Bondone (forse diminutivo d’Ambrogio od Angiolo, Colle di Vespignano, oggi frazione di Vicchio, Firenze, 1267 circa – Firenze, 8 gennaio 1337, pittore ed architetto) e la sua esclusiva “O”, ambedue forse e certo il primo ospiti del mecenate Cangrande I della Scala (Can Francesco della Scala, Canis magnus, Verona, 9 marzo 1291 – Treviso, 22 luglio 1329, Signore di Verona dei Della Scala o Scaligeri).
Non c’è voluto molto all’autore Alberto Zucchetta, noto maestro orafo nonché medaglista e scultore (nato a Venezia il 17 gennaio 1938 ed a Verona dal 1965, con “fucina creativa” in Corte Melone 8) per instillare ulteriore curiosità ai pochi presenti (causa le ormai di prammatica restrizioni pandemiche) alla presentazione nella libreria “Il Minotauro”, in via Cappello 35c, dell’elegante volume “Dante Giotto Cangrande e il fascino segreto delle stelle – Studio tra simbologia e matematica della stella scaligera in oro del XIV secolo” (Gingko Edizioni, Verona, 2021), con introduzione di Vittorio Sgarbi, interventi di Lionello Puppi, Claudio Bellinati, Cristian Zucchetta (figlio d’arte al computer in creazioni e restauri orafi), scritti “ripescati” di Lanfranco Franzoni e Giuseppe Faccincani ed arricchito di curate tavole a colori ed in bianco/nero..
Nelle immagini: l’autore Alberto Zucchetta e il suo libro
Tutto ruota attorno al casuale ritrovamento di oggetti di valore di cui diede notizia il giornale “L’Arena” domenica 20 novembre 1938 con l’accattivante titolo “La pignatta del tesoro ovvero il tesoro nella cantina”. Il 15 novembre precedente, durante uno scavo, appunto, nella cantina d’uno stabile in via Gaetano Trezza 21, all’angolo con via Paradiso, due muratori riportarono alla luce una cassetta di mattoni che conteneva un vero “tesoretto” (monili, pietre preziose, perle antichi ecc.) risalente all’epoca scaligera e dati in deposito al Museo di Castelvecchio.
Tra i reperti primeggiava un suggestivo ed enigmatico gioiello medioevale, attribuibile alla terza decade del Trecento, citato in descrizione come “fermaglio in oro con perle, rubini e smeraldi, in forma di stella con sei raggi maggiori e sei minori, del diametro massimo di mm 150 e del peso di gr. 243,5”, all’epoca valutato 30mila lire ed oggi sui 270mila euro. Un capolavoro della gioielleria ornato di ben 245 fra pietre preziose e perle orientali che, molto probabilmente, faceva parte (con altri ornamenti) del corredo funerario di Cangrande I della Scala, deposto in una delle arche sepolcrali scaligere accanto alla chiesa di Santa Maria Maggiore, profanata e saccheggiata nottetempo dalla soldataglia napoleonica nel 1797.
Alberto Zucchetta, passionale studioso di simbologia connessa soprattutto all’arte medioevale, è riuscito a svelare il “rebus” del misto particolare tra disegno e disposizione delle pietre del gioiello basato sul numero 3 ed i suoi multipli. Un procedimento governato dalla formula pitagorica della tetraktýs (o tetrattide o numero quaternario o sacra decade) e dell’esagramma (unione di due triangoli equilateri) basato nel cerchio, in funzione d’ausilio, supporto all’elaborazione di risultati matematicamente perfetti.
Alberto e Cristian Zucchetta hanno realizzato a mano una copia fedele dello splendido gioiello, rispettando i canoni tecnici delle botteghe orafi medioevali, della stessa misura e con l’uguale numero di pietre e perle. Dagli antichi compasso e righello, cioè, al rifacimento geometrico-matematico tramite un programma computerizzato, in un risultato identico.
«L’attenzione è su un pregiato manufatto, come aveva intuito lo stesso professor Licisco Magagnato (Vicenza, 8 giugno 1921 – Venezia, 11 aprile 1987, storico dell’arte e direttore dei Musei e delle Gallerie veronesi dal 1955 al 1986, n.d.a.), dall’impronta matematica. – ha esordito Zucchetta riassumendo la sua opera – Come nella “Commedia” di Dante, è strutturato nel disegno e nella distribuzione delle gemme e delle perle sul numero 3. Si tratta d’un gioiello affascinante che racchiudeva effettivamente un “mistero” sul quale ho condotto una lunga ricerca»
«L’introduzione è di Vittorio Sgarbi che, quando ha potuto leggere questo studio, s’è complimentato con me dicendo: “Finalmente un libro di ricerca”. L’ha condiviso e devo dire che ha scritto un’interessante presentazione»
«Più che un’introduzione od una presentazione – ha voluto precisare l’editore Angelo Paratico – quella di Sgarbi è una lectio magistralis dettata al telefono mentre viaggiava in autostrada con l’autista. Dopo una settimana gli sono venuti dei dubbi ed ha voluto rivedere il testo per apportare delle correzioni. È umano anche lui, insomma…».
«Ricordo che Sgarbi, che conosco da tanti anni – s’è lasciato andare Zucchetta – m’ha detto: “Tu sei partito dal sassolino e sei arrivato a scoprire la piramide mentre, di solito, lo studioso parte dalla piramide per arrivare poi al sassolino”. Un’affermazione che m’ha gratificato e spinto ancor più».
Servizio e foto di Claudio Beccalossi