Forse lo stesso Romano Guardini (Verona, 17 febbraio 1885 – Monaco di Baviera, 1° ottobre 1968, con opere citate dai papi Benedetto XVI e Francesco, purtroppo scivolato in un deprecabile oblio dal quale sembra lentamente riaffiorare) si rivolterebbe nella sua tomba nella chiesa universitaria di San Ludovico (dove fu traslato nel 1997 dal cimitero dei sacerdoti della chiesa dell’Oratorio di San Filippo Neri), appunto a Monaco, in Germania, al constatare le condizioni di degrado in cui versa il piazzale a lui dedicato, nei pressi della stazione ferroviaria di Porta Nuova, nell’ampia area di parcheggio tra le vie delle Coste e Domenico Morelli..
Presbitero, teologo e scrittore cattolico naturalizzato tedesco (dato che già nel 1886 la sua famiglia si trasferì a Magonza, città della Germania alla confluenza dei fiumi Meno e Reno, capoluogo del Land della Renania-Palatinato), Guardini (un “padre della Chiesa del XX Secolo”, come lo definì Hanna-Barbara Gerl-Falkovitz, sua biografa) probabilmente avrebbe più di qualcosa da ridire sulle condizioni e sull’uso “improprio” del luogo, anche in sintonia con la personale christliche Weltanschauung (“visione cristiana del mondo”).
Infatti, l’ampio spazio lamenta inequivocabili “lasciti” di avanzi di rapporti sessuali (preservativi), di tossicodipendenti (boccette vuote di metadone) oltre a rifiuti di varia natura ed a vandalismi graffitari, segnaletica e muri esterni imbrattati, reti di recinzione parzialmente divelte per consentire “scorciatoie” d’accesso.
Il piazzale, dai freni… inibitori carenti, è purtroppo diventato sconveniente “sede logistica” del “giro” connesso alla prostituzione, con “professioniste” e “clienti” che frequentano senza remora o pudore il luogo pure nelle ore e nei giorni meno “sospetti”, come riferiscono testimoni.
I diretti interpreti della degenerazione morale non si fanno scrupoli delle presenze del fabbricato delle Poste e di due scuole superiori statali: l’Istituto tecnico industriale “Guglielmo Marconi” e l’Istituto professionale industria ed artigianato “Enrico Fermi”. Per non parlare, poi, dell’“alternativa” ubicazione, nel contesto stradale, della prosaica “Confraternita Enogastronomica veronese del Boncuciar”, con suoi relativi adepti.
L’occhio di “chi può (od almeno potrebbe, se non deve)” non s’è ancora posato su questi eclatanti segnali d’incuria igienico-ambientale, con qualche riflesso sull’etica e sul sociale (per quanto possano ancora valere al giorno d’oggi)?
Servizio e foto di Claudio Beccalossi