Via XX (o 20 od ancora Venti) Settembre, una strada dall’illustre passato perduto.
I fasti d’un tempo, quello dei palazzi signorili, delle fonderie artistiche, della cultura nobile e popolare insieme, della veronesità più schietta valorizzata da pittori e poeti, hanno lasciato il posto ad una decadenza generale e ad un avvilente senso d’abbandono, uniti a forti mutamenti sociali in una nuova dimensione multietnica.
Sono ormai ben lontani i momenti d’orgoglio all’entrata foriera di speranze delle truppe italiane a Verona, il 16 ottobre 1866, dopo l’annessione al Regno d’Italia ed il ritiro delle truppe austriache. Fatto storico menzionato da due lapidi apposte sulla facciata di Porta Vescovo che dà su piazza XVI Ottobre (ex piazza Santa Toscana): “Redenta la Venezia assicurata l’italica unità fra l’esultanza popolare e la pompa di fraterna accoglienza il giorno XVI ottobre MDCCCLXVI per queste porte entrò l’Esercito nazionale” e “Il memorabile giorno XVI ottobre MDCCCLXVI ultimo dell’occupazione straniera primo di libertà questo Municipio volle eternato negli annali di Verona e d’Italia”.
S’avvia proprio da piazza XVI Ottobre, lasciando Porta Vescovo alle spalle, il “sopralluogo” sui generis ai due lati di via XX Settembre, denominata così in ricordo della data del 1870 in cui le truppe italiane entrarono a Roma pontificia tramite una breccia nelle mura aureliane, presso Porta Pia.
Sulla destra, andando verso via San Paolo, una rientranza premette alle strutture della fonderia della famiglia Cavadini, nota dinastia di realizzatori di pregiate campane tra il XIX ed il XX secolo.
Una lapide apposta sulla parete esterna riassume tanta valenza artigianale: “In questo palazzo laboratorio per oltre 200 anni / L’Antica Premiata Vescovile / Fonderia di Campane / Cavadini / con la fusione di bronzi artistici / rese famoso il nome di Verona in Italia e nel Mondo / contribuendo alla nascita / del Sistema di Suono alla Veronese. / Con riconoscenza e gratitudine / L’Amministrazione Comunale”.
Peccato, però, per lo sfacelo interno visibile, per il disfacimento della muratura esterna e per le pareti di case accanto deturpate da scritte e disegni.
Poco oltre, sulla sinistra, l’ex Distretto militare lamenta portoni dissestati e sfasciati, perfino il campanello penzoloni all’ingresso oltre a muri scrostati sulla via. Di fronte, le vecchie abitazioni a pianoterra, disabitate da anni, rappresentano lo scempio graffitaro senza pietà (men che meno rispetto) della proprietà altrui, per quanto in declino.
Il deterioramento riguarda pure datate epigrafi d’indicazione stradale: quelle in marmo di “Via Venti Settembre già Via di Mezzo Porta Vescovo” e di vicolo Fontanelle San Nazaro.
Chi, veronese e non appassionato d’architettura sacra, non può trattenere un moto di stizza nel constatare lo smaccata rovina della chiesa sconsacrata di Santa Caterina da Siena annessa al convento omonimo, subito dopo l’ex Distretto militare, quasi in castigo dietro a mura massicce e cancelli con punte aguzze (esempi di offendicula) in difesa di chissà cosa. Risalente alla fine del XV secolo, si può considerare l’ennesima vittima del disinteresse locale cementato negli anni.
La facciata del palazzo tardo-gotico Malesani, già Gozzi-Sona-Maffei, in via XX Settembre 35 e 35b, presenta una lapide oscurata dall’inquinamento e dall’incuria, alquanto illeggibile senza opportuno ingrandimento: “Gli avanzi che qui esistevano dell’affresco / di Stefano da Zevio rappresentante la Vergine / col Bambino S. Cristoforo ed angeli per / generoso dono dei proprietari Fratelli Gozzi / fu Luigi vennero trasportati al Museo Civico / nel 1906”. Avanzi e non opera intera del pittore Stefano da Zevio o da Verona (1375/1379 circa – 1438 circa) che si firmava semplicemente “Stephanus”, figlio dell’artista francese Giovanni de Herbosio o Jean d’Arbois.
Poco più avanti, al numero civico 38, sulla sinistra, un’altra lastra marmorea da ripulire memorizza un’importante attribuzione: “Qui dov’è nato / Verona riconoscente ricorda / LUIGI ROSSI / maestro di Diritto nelle Università di Bologna e di Roma / deputato al Parlamento dal 1904 al 1924 / ministro delle Colonie e della Giustizia / Giurista e uomo di Stato / rifulse nella vita e nella scuola / per alto ingegno devozione alla Patria / amore della libertà / austerità di carattere e di costume / N. 29 – IV – 1867 / M. 29 -10 – 1941/ Nel decimo anniversario”.
Il riferimento è a Luigi Rossi (nato appunto a Verona e morto a Roma, avvocato, giurista e politico annoverato tra i liberali moderati), professore nelle università di Bologna e Roma, deputato del Regno d’Italia, sottosegretario al Ministero della Pubblica istruzione, ministro delle Colonie nel primo governo di Francesco Saverio Nitti e nel quinto governo di Giovanni Giolitti, ministro di Grazia e Giustizia nel primo governo Facta. Archiviata la politica praticante, Rossi risalì in cattedra e fece parte dei fondatori della facoltà di Scienze politiche dell’Università di Roma dove insegnò Diritto pubblico comparato.
Tra le due finestre del primo piano della palazzina al numero civico 27, a sua volta, è vedibile tra muratura scrostata ed umidità il tratto superstite d’un affresco religioso, altro caso eclatante di via XX Settembre in quanto a declino, sotto gli occhi di tutti, di un’opera artistica antica agevolato da negligenze pubbliche e private.
Proseguendo, a sinistra, all’angolo con via Antonio Maffi, l’occhio anche più abituato alla demenza vandalistica non può che biasimare l’ennesimo assalto graffitaro a mura e vetrine sotto il penoso slogan “rabbia & bombolette”.
Sulla destra, al numero civico 17 ed all’angolo con vicolo Vetri, non è stata risparmiata nemmeno la serranda d’accesso alla sede dell’Associazione Dopolavoro Ferroviario di Verona, in una pregevole palazzina liberty. La base esterna dell’edificio d’inizio XX secolo mostra i segni di rifacimenti del colore per rimediare alle “gesta” degli scribacchini urbani.
Quanto accennato su via XX Settembre, purtroppo punta d’un iceberg, necessita di interventi istituzionali per ripristino, restauro, salvaguardia, valorizzazione, monitoraggio…
Servizio e foto di
Claudio Beccalossi