Un intervento penetrante e realista, senza storpiature di netta divisione (di comodo o di “regime”) tra “buoni” e “cattivi”. L’ha cadenzato con la sua caratteristica voce roca il noto giornalista, scrittore e blogger ma, soprattutto, ex inviato di guerra Toni Capuozzo (Palmanova, Udine, 7 dicembre 1948), invitato nell’ampia sala all’interno di Porta Palio, venerdì scorso, a parlare del conflitto in Ucraina. Un incontro dal folto pubblico via via sempre più infreddolito ma che ha tenuto duro senza perdersi una sillaba del reporter.
Dopo l’esordio dell’organizzatore dell’evento, Andrea Bacciga (consigliere comunale), hanno preso sinteticamente la parola dando spunti all’ospite l’on. Vito Comencini (della III Commissione affari esteri e comunitari della Camera dei deputati) e Francesca Toffali (assessore comunale a Bilancio e tributi, Politiche della casa, Relazioni internazionali, Fondi Ue, Veronesi nel mondo, Politiche demografiche, Smart city ed Innovazione tecnologica, Rapporti con l’Unesco, Turismo e costumi e tradizioni popolari).
Nelle immagini: Andrea Bacciga (sinistra) intervista Toni Capuozzo (destra)
Biografia
Capuozzo s’è laureato in Sociologia all’università di Trento. Dopo una prima adesione al Partito comunista italiano, passò a Lotta Continua dove, nell’omonima testata, prese avvio nel 1979 la sua carriera giornalistica che lo portò a Mediaset (TG4, TG5, Studio Aperto) testimoniando da inviato in varie aree di crisi e guerre (Medio Oriente, ex Jugoslavia, Afghanistan, Iraq ecc.). Dal 2000 al 2017 ha curato e condotto dapprima su Canale 5 e poi su Rete 4 il programma d’approfondimento giornalistico “Terra!”. Nel 2021 ha firmato sempre per Mediaset il ripercorso centenario del Partito comunista italiano “Il sogno di una cosa” e, sulla scorta delle sue esperienze sugli scenari bellici, è tuttora invitato a commentare l’attualità in talk show dove si distingue per la sua pacata ma determinata lettura dei fatti spesso controcorrente rispetto al “verbo” imperante. Vincitore di molti premi di giornalismo e letterari (il più recente, il Premio letterario Nabokov, gli è stato attribuito nel 2021 per il volume “Piccole Patrie”), Capuozzo ha portato a Verona il suo ultimo libro (l’undicesimo, oltre al podcast Audible “Dal nostro inviato”, andato in rete nel 2021) fresco di stampa: “Balcania L’ultima guerra europea” (Edizioni Biblioteca dell’Immagine, Pordenone, marzo 2022).
L’ex inviato di guerra (termine che l’interessato aborrisce) ha abbozzato un’impietosa disamina sulla brutta piega della “nuova” Ucraina del dopo-Euromajdán (letteralmente, Europiazza, dall’appellativo delle manifestazioni pro-Ue iniziate a fine 2013 in Majdán Nezaléžnosti, piazza dell’Indipendenza, a Kyïv) invasa dalla Russia in versione “denazificatrice e protettrice dei russofoni”, sugli errori (ed orrori) e sulle ipocrisie internazionali (comprese quelle nostrane). Una serie di bacchettate di buon senso analitico.
L’Italia fa ora i conti col fatto di non aver più la possibilità d’essere interlocutrice e mediatrice super partes avendo deciso di rifornire di armi un contendente. La retorica degli italiani “brava gente” è messa con le spalle al muro dal giornalista. Che ha parlato a braccio, saltando qua e là nella storia contemporanea più tragica da lui “vista da vicino”, con input qui sintetizzati.
«L’ammirazione per l’eroismo ucraino perché ci piace sempre l’eroismo degli altri, mai il nostro o di quelli come Fabrizio Quattrocchi (guardia di sicurezza privata rapita ed uccisa in Iraq), ci piace la patria degli altri e non la nostra. Ci sono 21 bambini nati in maternità surrogata in incertezza a Kyïv. Ricordo i propugnatori di 10, 100, 1.000 Nassiriya. Ed i piccoli uccisi anche con nostre bombe, come quella bambina di 3 anni a Belgrado. Nessuno manifestò a suo tempo per loro perché c’era Massimo D’Alema presidente del Consiglio? Guerra di droni. Per i morti civili in Afghanistan dal 2001 in poi nessuno ha processato i colpevoli. Un ministro degli Esteri italiano che dà dell’animale a Putin è un tizio che non crede nella pace».
«Cosa fare, allora? Prendere per le orecchie le due parti in conflitto? Si dice che l’integrità dell’Ucraina non sia in discussione. Ma i grandi leader non sono quelli che portano al massacro i loro popoli. I nostri nonni avrebbero scosso la testa e non pensato a rifornire d’armi un belligerante. La posizione più moderata finora è quella della Cina. Invece d’esportare basi militari, come fa la Nato, che si diventi esportatori di esposizioni universali. Le sanzioni: distinguere i popoli dai governi. Fino all’altro giorno tutti sentinelle morali, attenti al tipo di pace basato sui nostri principi, adesso mandiamo armi. Oggi sono più militarizzati i giornalisti dei generali. Non bastano le ragioni economiche per far guerre. La pace deve essere sottoposta ad una sorta di controllo costante».
«L’inviato che non vuole essere di guerra si toglie l’elmetto prima delle riprese. È palese l’assenza di leader con forza, autorità, fantasia per parlare di pace. Mario Draghi è più abituato a parlare di sacrifici, di tagli che d’eroismo. Un rapporto Osce ha stabilito in circa 14mila il numero dei morti, in otto anni, nel conflitto nascosto dai media nel Donbass. Nel giornalismo ci sono morti di serie A e di serie B. Gli strascichi di questa guerra saranno lunghi. La memoria è una condanna. Ci sono un sacco di famiglie miste, ucraino-russe e viceversa, che oggi si lacerano. Il tribunale per crimini internazionali dell’Aia non è stato ratificato da Usa e Russia. I prigionieri russi catturati dagli ucraini sono sottoposti ad interrogatori contro la Convenzione di Ginevra. E nessuno lo dice. Dovrebbero solo riferire identità, data di nascita, grado e numero di matricola. È la macchina della propaganda».
La nostra intervista esclusiva a Toni Capuozzo
Servizio, foto e video di
Claudio Beccalossi