Con il prossimo sei maggio saranno passati dieci anni dalla scomparsa di Giulio Andreotti, l’uomo politico, probabilmente, più controverso e discusso della cosiddetta “Prima Repubblica”.
Figlio di un maestro di scuola elementare e di una casalinga, romano di Roma, classe 1919, entrò giovanissimo nella associazione degli universitari cattolici (la FUCI), della quale, nel 1942, quindi durante il ventennio, ne diventò presidente (succedendo ad Aldo Moro). Conosciuto De Gasperi in Vaticano negli anni quaranta, fu da questo subito apprezzato e sponsorizzato affinché venisse candidato nelle file della Democrazia Cristiana dapprima all’assemblea Costituente e, poi, alla Camera dei Deputati. Fu eletto Deputato ininterrottamente fino al 1991, carica che lasciò per diventare Senatore a Vita (nominato da Cossiga). Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio in tutti i Governi De Gasperi, fu per ben trentaquattro volte ministro e sette volte Presidente del Consiglio, la prima delle quali nel 1972. Premier anche nel 1978, durante i terribili cinquantacinque giorni del rapimento Moro, fu proprio uno tra i principali artefici di quella, tanto criticata, “linea della fermezza”.
Sfiorato da “Tangentopoli”, fu però dal 1993 indagato e processato per associazione mafiosa e come mandante dell’omicidio Pecorelli (giornalista politico). Uscì assolto da entrambe le accuse, anche se con sentenze che hanno lasciato aperte molte discussioni (si pensi, ad esempio, alla prescrizione per i fatti antecedenti al 1980).
Soprannominato lo Zio, il Divo, Belzebù, non vi é stato scandalo italiano a cui, in modo diretto o indiretto, non é stato associato da stampa e nemici (e, forse, amici): Tangentopoli, la loggia P2, la vicenda Sindona, l’omicidio Ambrosoli, lo scandalo IOR, il Golpe Borghese e molti altri.
…quindi, quale giudizio su Andreotti? Film, libri, editoriali hanno già espresso sentenze più o meno severe.
Forse quello piú giusto é quello che lui stesso si diede parlando della sua vita e del “buonismo”:
“Cosa vorrei sulla mia epigrafe? Data di nascita, data di morte. Punto. Le parole delle epigrafi sono tutte uguali. A leggerle uno si chiede: ma scusate, se sono tutti buoni, dov’è il cimitero dei cattivi?”
di Matteo Peretti