Mentre i ranghi delle opposizioni di sinistra al governo di centrodestra non riescono a mandar giù, in preoccupante stato confusionale, il boccone amaro della sconfitta elettorale del 25 settembre 2022, sono stati eletti alla seconda e terza carica dello Stato nella XIX legislatura rispettivamente il sen. Ignazio La Russa (Fratelli d’Italia), presidente del Senato della Repubblica a Palazzo Madama dal 13 ottobre e l’on. Lorenzo Fontana (Lega), presidente della Camera dei deputati a Palazzo Montecitorio dal 14 ottobre.
Con la successiva indicazione quale presidente del Consiglio dei ministri incaricato, affidato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella il 21 ottobre a Giorgia Meloni (presidente di Fratelli d’Italia e del Partito dei Conservatori e dei Riformisti europei), l’accettazione senza riserva dell’interessata ed il giuramento del giorno dopo al Palazzo del Quirinale (prima donna nella storia nazionale a ricoprire il ruolo), ha preso il via il Governo omonimo.
Un governo che dovrà vedersela con strategie palesi e sottobanco delle opposizioni, interferenze esterne/estere, ostracismi dell’Unione europea, artifici ad orologeria di certa magistratura, tattiche di impennate dello spread, polemiche per l’incondizionata fedeltà agli Stati Uniti ed alla Nato in funzione anti-russa, per l’appoggio all’Ucraina con frange neonaziste e ben poco democratica, per l’invio di armamenti (ancora secretati in quanto a tipologia, quantità e costi?) a Kiev, con Zelens’kyj continuo richiedente di armi e dollari (mai di medicine ed alimenti) ecc.
Le elezioni di La Russa e Fontana m’hanno riportato a passati incontri con loro.
Al 27 maggio 2017, per iniziare, in giorni di propaganda per le elezioni amministrative in città (che poi avevano decretato Federico Sboarina sindaco). Le compagini “in corsa” per Palazzo Barbieri e per le sedie di sindaco e consiglieri comunali s’erano spartite piazza Bra per farvi confluire propri supporters e curiosi d’occasione, contorno di prammatica alla venuta di big della politica nazionale per attizzare il fuoco delle simpatie verso questa o quella lista tal dei tali.
Così era stato anche per il deputato Ignazio Benito Maria La Russa (Paternò, Catania, 18 luglio 1947), ex vice presidente della Camera dei Deputati, ex ministro della Difesa, ex presidente di Fratelli d’Italia e, poi, ex vice presidente del Senato prima della fresca elezione a presidente sempre del Senato. Aveva raggiunto il capannello di esponenti di Fratelli d’Italia (allora ancora accostata ad Alleanza Nazionale) in attesa presso i giardini in quel sabato assolato di maggio.






I temi-cult esposti nell’occasione (sicurezza, immigrazione e legittima difesa) avevano avuto sintetica illustrazione, al megafono, dallo stesso La Russa, prestandosi volentieri, assieme a candidati in lista, allo sbandierare manifestini-slogan (“Più sicurezza per Verona”, “Basta finti profughi”, “La difesa è sempre legittima”, “Certezza della pena”) davanti a fotografi ed operatori televisivi.
Quindi, soddisfatte le voglie di selfies con lui da parte di aspiranti consiglieri comunali e convenuti vari (compresi quelli che l’avevano approcciato per esprimergli lagnanze e richieste), Ignazio era salito in auto con altri verso Caldiero, a sua volta in fibrillazione preelettorale…
Una “toccata & fuga” a Verona, dunque, dell’esuberante politico noto alle cronache anche per certe sue “fattezze mefistofeliche” e per la sua caratteristica voce rauca dalla mai perduta cadenza siciliana. Volto originale che ha “ispirato” ad imitarlo Dario Ballantini, Maurizio Crozza, Rosario Fiorello con Marco Baldini, in goliardie televisive e radiofoniche che, in fondo, hanno ulteriormente amplificato il “personaggio La Russa”.
Nel 1971 era ai vertici del Fronte della Gioventù, organo giovanile del Movimento sociale italiano (Msi). Il 12 aprile 1973, durante una manifestazione organizzata dal partito per protestare contro la “violenza rossa”, vennero lanciate due bombe a mano Srcm mod. 35 di cui una uccise Antonio Marino, poliziotto di 22 anni. La Russa, in quanto tra i leaders del Fronte della gioventù, si vide puntare addosso il dito accusatorio come uno dei responsabili morali della tragedia.
Suo padre, Antonino (Paternò, 8 settembre 1913 – Milano, 20 dicembre 2004), a suo tempo segretario politico del Partito nazionale fascista di Paternò, nel dopoguerra divenne deputato e senatore nel Movimento sociale italiano (Msi). Il figlio entrò in un collegio a San Gallo, capoluogo dell’omonimo cantone in Svizzera e concluse i suoi studi all’Università di Pavia, laureandosi in Giurisprudenza. Pure i fratelli (sorella Emilia a parte) avevano intrapreso con altrettanto successo la strada della politica: il maggiore Vincenzo (Paternò, 10 luglio 1938 – Milano, 21 novembre 2021) ed il minore Romano Maria (Paternò, 11 gennaio 1952). Il primo avvocato, ex senatore ed ex deputato della Democrazia Cristiana ed il secondo imprenditore, ex europarlamentare di Alleanza Nazionale, ex assessore regionale all’Industria ed attuale assessore alla Sicurezza della Regione Lombardia.
Evidentemente appassionato delle vicende dei nativi americani, Ignazio ha voluto per i tre figli nomi di richiamo al coraggio: Antonino Geronimo, Lorenzo Cochis e Leonardo Apache.
A sua volta, Lorenzo Fontana (Verona, 10 aprile 1980), oggi neo presidente della Camera dei deputati, è intervenuto ad un incontro pubblico da me condotto di presentazione del libro di Stefano Pelaggi (storico, docente e ricercatore) “L’altra Italia. Emigrazione storica e mobilità giovanile a confronto” (Nuova Cultura, Roma, 2011).


Il convegno, svoltosi il 17 dicembre 2011 nella sala superiore del Liston 12, in piazza Bra, è stato appunto concluso dall’allora europarlamentare della “vecchia” Lega Nord, in seguito, via via, vice segretario federale della Lega per Salvini Premier, deputato e vice presidente della Camera dei deputati, ministro per la Famiglia e le Disabilità, ministro per gli Affari Europei. Fino allo scranno più alto a Palazzo Montecitorio.
Come adesso, malvisto e criticato dai cosiddetti progressisti che schifano (anche con la violenza non solo verbale) valori e tradizioni, da ministro per la Famiglia e le Disabilità nel Governo Conte I è finito nell’occhio del ciclone perché in difesa della famiglia tradizionale, meglio, naturale. Agli attuali attacchi isterici e forsennati di minoranze che nessuno si sogna di disturbare, Fontana ha risposto… senza rispondere. Nemmeno quando hanno vigliaccamente tirato in ballo perfino la moglie Emilia e la figlia Angelica. Il richiamo a Dante è d’obbligo (Canto III dell’Inferno, verso 51 della diciassettesima terzina): “…non ragioniam di lor, ma guarda e passa”.
Claudio Beccalossi