- Un concatenarsi di eventi per la caduta dell’Airbus A310-324 Bucharest-Otopeni – Brussel-Zaventem
- Decedute tutte le 60 persone a bordo
- La ricostruzione della tragedia e le foto originali delle sepolture di alcuni membri dell’equipaggio
Bucarest (Romania), 3-7 aprile 1995– Ero giunto in treno da Verona Porta Nuova a Bucureşti Nord, via Budapest Keleti, alle ore 6 del 3 aprile 1995. Non sapevo esattamente quanti giorni sarei rimasto nella capitale romena, dato che il mio programma dipendeva dagli umori di inaffidabili persone con cui dovevo confrontarmi.
Il 6 aprile, un giorno prima del mio viaggio a ritroso, avevo dialogato con mons. Santo (Santino) Rocco Gangemi, segretario della Nunziatura Apostolica del Vaticano, in str. Pictor Stahi 5-7. Messinese gioviale (nato il 16 agosto 1961), era entrato nel servizio diplomatico della Santa Sede il 1° luglio 1991 e, prima che in Romania, aveva operato in Marocco. In seguito gli incarichi di rappresentanza pontificia l’avevano destinato a Cuba, Cile, Francia, Spagna, Egitto. Era stato nominato nunzio apostolico, poi, nelle Isole Salomone (2012-2013), in Papua Nuova Guinea (2012-2013), in Guinea (2013-2018), in Mali (2014-2018), in El Salvador (2018-2022). Attualmente è nunzio apostolico in Serbia, con designazione del 12 settembre 2022. Un curriculum di diplomazia vaticana di tutto rispetto…
Durante l’incontro avuto con lui a Bucarest m’aveva riferito della sua presenza nella cattedrale di San Giuseppe, il 5 aprile, alla cerimonia funebre per le vittime cattoliche del disastro aereo (peggior calamità aviatoria romena) avvenuta il 31 marzo e che, in quei giorni, teneva banco su tutti i media, ipotizzando ed ampliando anche cause improbabili date in pasto con smaccato sensazionalismo.
Il martellare continuo riguardo al tragico avvenimento su televisioni e giornali (che guardavo e leggevo contagiato dalla frenesia generale) mi aveva coinvolto emotivamente, anche perché, tra l’opinione pubblica imbeccata da scandalistici organi d’informazione, le illazioni dominanti non erano inerenti a guasto tecnico o ad errore umano ma “alla bomba d’un attentato terroristico”, “al fondamentalismo del Fronte islamico di salvezza algerino”, con relativo sottobosco complottista (compreso un fantomatico personaggio, partito o meno, che non sarebbe stato nella lista ufficiale dei passeggeri).
Il drammatico fatto.
Il volo Tarom 371 Bucharest-Otopeni o Bucharest-“Henry Coandǎ” (Romania) – Brussel-Zaventem (Belgio), decollato tra vento e nevischio alle ore 9:06, era precipitato alla velocità di 324 nodi (600,048 km/h) appena due minuti dopo, alle 9:08 del 31 marzo 1995, nei pressi di Baloteşti, provocando un cratere profondo tra i 4 ed i 6 metri in un terreno agricolo e la morte di tutte le 60 persone a bordo, 49 passeggeri (32 del Belgio, 9 della Romania, 3 degli Stati Uniti, 2 della Spagna, 1 della Francia, 1 della Thailandia e 1 dei Paesi Bassi) tra cui una bambina di 4 anni (6 secondo alcune fonti), un piccolo o piccola di 4 mesi (stando a stessi riferimenti) ed 11 membri d’equipaggio.
L’aereo della Tarom (Transporturile Aeriene Române, Trasporto aereo romeno, compagnia di bandiera), denominato “Muntenia” (un Airbus A310-324 immatricolato YR-LCC) dal primo volo risalente al giugno 1987 allo stato della disgrazia aveva accumulato 31.092 ore di navigazione.
Il comandante era Liviu Bătănoiu, 48 anni, con una carriera dalle 14.312 ore di volo di cui 1.735 su airbus come il “Muntenia”. Prima di decollare verso Bruxelles aveva effettuato il suo ultimo servizio sulla tratta Bucarest (Romania) – Tel Aviv (Israele) mentre il suo addestramento più recente s’era svolto il 12 novembre 1994, in un ambito della Swissair a Zurigo (Svizzera). Operava come copilota e primo ufficiale Ionel Stoi, 51 anni, con 8.988 ore di volo alle spalle, tra le quali 650 su Airbus A310-234. In anticipo alla catastrofe era stato impegnato sulla tratta Chicago (Usa) – Shannon (Irlanda) ed il suo ultimo aggiornamento professionale risaliva al 21 settembre 1994, sempre alla Swissair di Zurigo.
L’aereo aveva decollato dalla pista 08R con Stoj ai comandi e con la consapevolezza di un’anomalia preesistente all’Automatic throttle system (Ats), Sistema di spinta automatica, che doveva essere tenuto sotto controllo da Bătănoiu. Il comandante s’era premurato, come da procedura, di ritirare i flaps (parti mobili delle ali che consentono d’incrementare la portanza al decollo ed all’atterraggio) ma non gli slats (superfici aerodinamiche sul bordo d’attacco delle ali degli aerei ad ala fissa che s’integrano con queste quando sono ritratte) perché soggetto ad un malore, con probabile svenimento. Intanto, il motore sinistro dell’airbus era sceso al minimo mentre quello destro, in potenza di salita, stava causando un’asimmetria nella spinta, con velocità in riduzione ed un inclinamento a sinistra.
Probabilmente intento a soccorrere Bătănoiu, Stoi non era riuscito a correggere l’asimmetria di spinta al valore massimo, con l’aereo piegato ancor più a sinistra (allucinante immaginare il panico a bordo!), perdendo quota in modo drastico e precipitando a terra, ad appena una decina di chilometri da Otopeni.
Il rapporto finale sulle cause dell’incidente del volo Tarom 371 aveva stabilito, come corresponsabili, il malfunzionamento dell’Ats (asimmetria nella spinta), il malore al comandante Bătănoiu (era stato ipotizzato un attacco cardiaco, con presumibile decesso) e la sua conseguente impotenza ad agire, le errate od insufficienti azioni correttive del primo ufficiale Stoi per rimediare agli eventi.
Forse, i campanelli d’allarme sulla difformità dell’Ats dell’Airbus A310-324 erano stati trascurati o minimizzati. Anche quando l’aereo aveva operato per la Delta Air Lines e perfino nel volo precedente a quello della sciagura, senza opportuna segnalazione.
Un maledetto concatenarsi di fattori stava dietro le quinte della caduta del volo Tarom 371 ed il conseguente scempio dell’aereo e dei corpi delle vittime dispersi per centinaia di metri, contenuti in 168 sacchi di resti umani raccolti con paziente pietà, incubo finale.
Sul luogo della catastrofe aviatoria era poi stato eretto un memoriale (Memorialul Victimelor de la Baloteşti) con tutti i nomi dei deceduti.
La terra dell’impatto, rivoltata in seguito per la coltivazione come sempre, aveva restituito e restituisce ancora pezzi dell’airbus (qualcuno s’è perfino creato un piccolo museo “casalingo” con quanto rinvenuto) e frammenti di ossa umane, elementi ormai inutili alle autorità che considerano il disastro di Baloteşti un capitolo ormai definitivamente chiuso. In barba ad inchieste e ricostruzioni giornalistiche che hanno scoperto e rivelato, negli anni, “stranezze” (“premonizioni”, “coincidenze” ecc.) e perfino la “sparizione” e/o “perdita” di dossier sulla vicenda.
Misterul de la Baloteşti/mistero di Baloteşti?
Non avevo potuto fare a meno, anche per mero impegno giornalistico, a recarmi nel Cimitirul Ghencea/Cimitero di Ghencea (dalle due sezioni, civile e militare e dove erano stati inumati Nicolae Ceauşescu e la moglie Elena Lenuţa Petrescu, l’ex presidente e l’altrettanto ex first lady della Repubblica socialista di Romania crollata con la rivoluzione di fine 1989), nel quartiere omonimo di Bucarest, per un omaggio, anche solo fotografico, alle tumulazioni di membri dell’equipaggio dell’Airbus A310-324.
Mi trovai di fronte alle particolari tombe accanto ad ali stilizzate d’aereo con i colori della bandiera nazionale romena (contraddistinte ciascuna dal nome del caduto, anni di nascita e morte), posizionate come estreme sentinelle a vegliare Ionel Stoi, Daria Mihaela Bucur, Doina Jurcovan, Victoria Balanescu, Livia Carmen Munteanu e Constantin Buza. Deceduti con altri colleghi durante il dovere professionale nella strage del volo Tarom 371. Vittime come gli sfortunati passeggeri, purtroppo già dimenticati dalla solidarietà internazionale capricciosa ed a miccia corta …
Servizio, foto e materiale d’archivio di
Claudio Beccalossi