Il “mistero” della pergamena inaugurale murata in una nicchia e poi “trasferita” a Venezia – Verona non dovrebbe farsela restituire per obbligo di diritto?
La crescita urbanistica ottocentesca di Verona includeva, tra le opere primarie, la costruzione d’un ponte di collegamento tra le stazioni ferroviarie di Porta Vescovo e di Porta Nuova che affermasse il ruolo in ascesa d’importante nodo su rotaia. Già il 3 luglio 1849 veniva inaugurato il tratto Verona (Porta Vescovo)-Vicenza sull’avvio di costituzione, nel 1837, della società Imperial-Regia Privilegiata Strada Ferrata Ferdinandea Lombardo-Veneta (dal nome di Ferdinando I d’Asburgo-Lorena, cioè Ferdinando Carlo Leopoldo Giuseppe Francesco Marcellino d’Asburgo-Lorena – Vienna, 19 aprile 1793 – Praga, 29 giugno 1875 – . imperatore d’Austria e re d’Ungheria, quale Ferdinando V, dal 2 marzo 1835 al 2 dicembre 1948).
Nel giugno 1849, poi, il Grande Regio Imperiale Commissario degli Affari ferroviari del Lombardo-Veneto, Luigi Negrelli (Fiera di Primiero, 20 aprile 1799 – Vienna, 1° ottobre 1858, ingegnere austriaco, tirolese di lingua italiana perché nato nell’odierno Trentino, all’epoca parte della Contea austriaca di Tirolo), depositò al Ministero dei Lavori pubblici dell’Impero austriaco il progetto d’una rete ferroviaria che intendeva dividere la Ferrovia Ferdinandea Milano-Venezia in due diramazioni: il primo avrebbe toccato Peschiera del Garda, Desenzano, Brescia, Bergamo e Monza ed il secondo si sarebbe diretto verso Mantova per proseguire in direzione di Piadena, Cremona, Treviglio, collegandosi con la linea tra Bergamo e Milano.
Il ministero competente, tra altre decisioni, mantenne l’opzione del tratto tra Verona, Villafranca e Mantova (Sant’Antonio Mantovano). E proprio la Verona (Porta Nuova)-Sant’Antonio Mantovano, il 7 aprile 1851, venne inaugurata dal feldmaresciallo Josef Radetzky (Johann Josef Wenzel Anton Franz Karl Graf Radetzky von Radetz, Sedlčany, 2 novembre 1766 – Milano, 5 gennaio 1858), con suo esercizio aperto il giorno successivo.
Il 31 dicembre 1849 l’amministrazione comunale di Verona indisse una gara d’appalto per l’erezione d’un ponte sul fiume Adige tra le stazioni di Porta Nuova e di Porta Vescovo. L’opera relativa partì il 6 marzo 1850 ed i lavori si protrassero fino al 10 novembre 1852, con inaugurazione avvenuta il 30 novembre dello stesso anno e con dedica a Francesco Giuseppe I d’Austria, della Casa d’Asburgo-Lorena (Franz Joseph I von Österreich – Castello di Schönbrunn, 18 agosto 1830 – Castello di Schönbrunn, 21 novembre 1916, Imperatore d’Austria, 1848-1916 e Re d’Ungheria, 1867-1916, che resse il neo riformato Impero Austro-Ungarico dal 1867 ed il Regno Lombardo-Veneto fino al 1866).
Le cronache dell’epoca riportano puntigliosamente la cerimonia ufficiale che ebbe il suo fulcro con la partenza a mezzogiorno dalla stazione di Porta Vescovo d’un vagone, dagli interni in velluto rosso, trainato dalla locomotiva “Verona” inghirlandata per l’occasione.
A bordo, assieme a varie autorità civili, ecclesiastiche e militari, viaggiavano per il breve tratto il vicerè, feldmaresciallo Josef Radetzky (dal 25 ottobre 1849 al 6 settembre 1857 governatore generale, civile e militare del Regno Lombardo-Veneto, comandante supremo della 2^ Armata Austriaca), il governatore (o luogotenente) del Veneto, Cav. Georg Otto von Toggenburg-Sargans, Rhäzüns, 1811 – Vienna, 1888 (in carica dal 22 luglio 1850 al febbraio 1855 e dal 9 febbraio 1860 al 18 ottobre 1866), ilgovernatore militare del Veneto, generale Karl von Gorzowsky, scritto anche Gorzkowski (Babice, 1778 – Venezia, 22 marzo 1858) ed il patriarca di Venezia, Giovanni Pietro Aurelio Mutti (nato a Bergamo il 10 settembre 1775, già vescovo di Verona dal 14 dicembre 1840 per poi essere elevato guida del Patriarchatus Venetiarum dal 15 marzo 1852 fino al suo decesso nella città lagunare, il 9 aprile 1857).
Il convoglio si fermò in mezzo al ponte e la comitiva scese al suono della banda militare che eseguiva l’Inno Imperiale (il Kaiserhymne, detto anche Inno Popolare Austriaco – con titolo originale, in tedesco, Österreichische Volkshymne – o Serbi Dio l’austriaco regno in sol maggiore, composto nel 1797 da Franz Joseph Haydn su incarico dell’Imperatore Francesco II d’Asburgo).
Il feldmaresciallo Radetzky collocò una pergamena commemorativa, chiusa in un cilindro, in uno spazio lasciato libero nell’ultimo arco del sottopassaggio a destra, prontamente coperto di cemento e chiuso dall’ultima pietra. La pergamena affermava per i posteri: “L’anno IV del regno di Francesco Giuseppe I – pio, felice, augusto – fu solennemente inaugurato – nel giorno XXX novembre – calando la serraglia dell’ultimo arco – la invitta mano di Giuseppe conte Radetzky feldmaresciallo e governatore generale del Regno Lombardo-Veneto pregato da Luigi Negrelli cavaliere di Moldelba – direttore superiore delle pubbliche costruzioni – di questo regno”.
E toccò proprio al già allora celebrato ingegnere Negrelli, Commissario imperiale ai Lavori pubblici e “padre” del Canale di Suez, pronunciare il discorso ufficiale d’inaugurazione, tra cui questo stralcio di “sana” retorica: “Nel rumore della procella che si allontana (il 1848, n.d.t.) cadeva nell’onda del fiume la prima pietra fra le minacce di un tremendo passato e la speranza ancor troppo incerta di un avvenire migliore… L’Evo pagano qui avea posto un’ara alla bugiarda Fortuna. Noi possiamo elevarne una alla infallibile Provvidenza per pregarla di quella pace che fu il grido, Eccellenza (rivolto al feldmaresciallo Radetzky, n.d.t.), delle vostre pugne”.
Poi, il breve tratto tra la stazione di Porta Vescovo e quella di Porta Nuova trovò inaugurazione il 14 dicembre 1852. Più che con il ponte Francesco Giuseppe I, i veronesi familiarizzarono con il nuovo manufatto chiamandolo semplicemente ponte della Ferrovia e togliendo dall’imbarazzo di trovargli un altro nome alla fine del dominio austriaco su Verona (con l’entrata in città delle truppe italiane il 16 ottobre 1866).
Una lapide apposta su una parete dell’arcata laterale a ridosso dell’interconnessione tra via Basso Acquar e via Franco Faccio riporta la seguente epigrafe: “Girolamo Dondi Orologio Amai nobile padovano ing.ͤ disegnò e diresse il lavoro Antonio Tallacchini di Casciago imprenditore eseguì 26 giugno anno 1851”. La data impressa non coincide con fonti che affermano, come conclusione dell’opera, il 10 novembre 1852. L’accurata progettualità adottata per unire con rotaie e treni le due sponde si dimostrò determinante nel fronteggiare le ripetute piene dell’Adige.

La connessione ferroviaria è lunga 272 metri (di cui 144 sull’Adige) e larga 10,72 metri (compresi i marciapiedi sorretti da mensoloni). È costituita da cinque arcate di 28,80 metri ciascuna, da altre due arcate laterali di 4 metri (l’una a destra e l’altra a sinistra), che fungono da sottopassaggi per il transito veicolare e pedonale e da due estremi archi di 11,95 metri, a destra, per il contenimento anche delle piene più consistenti.












Una coppia di archi uguali a questi ultimi e con le stesse prerogative era presente anche nel lato opposto, prima che fosse fatta saltare dai nazisti in fuga da Verona la sera del 25 aprile 1945. Rispettando una manovra tattica di ripiego dalle avanguardie americane, infatti, i genieri tedeschi fecero brillare in successione i ponti sull’Adige iniziando da quello più lontano dalla direttrice di ritirata a nord, cioè, appunto, il ponte della Ferrovia che si ritrovò senza le arcate estreme descritte, con archi e sottopassaggio di destra danneggiati e con le cinque centrali, almeno in apparenza, senza danni di rilievo, al punto che, in quei frenetici momenti, restò l’unico sistema di collegamento provvisorio tra le due rive del fiume. La funzionalità trovò ripristino in poco tempo grazie alle Ferrovie competenti, con l’innalzamento d’un terrapieno a sostegno della linea ferroviaria che sotterrò e rimpiazzò quanto restava delle due arcate abbattute dall’esplosivo.
L’occasione di restauro servì anche a recuperare la pergamena dell’inaugurazione che venne “trasferita” (o trafugata?) a Venezia, probabilmente in qualche archivio od ufficio della sede compartimentale delle Ferrovie da cui, allora, dipendeva Verona. Sarebbe interessante conoscere gli attuali destino ed ubicazione di questo documento, mentre la stessa città scaligera potrebbe pretenderne la restituzione per obbligo di diritto giuridico, morale e storico, nonostante il ponte sia oggi proprietà di Rfi (Rete ferroviaria italiana) del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane. La stessa società che, tra il 2007 ed il 2008, ha provveduto ad effettuare un rigoroso restauro generale della struttura per garantire continuità col passato e sicurezza della circolazione. Ben consapevole del lascito architettonico d’altri tempi piovuto dal cielo e dai fasti e nefasti d’avvincente passato, scalfito e basta (per ora) da intrusioni d’incuria. Occhi aperti, però…
Claudio Beccalossi