“Il Giornale dei Veronesi” s’era già occupato delle “pietre d’inciampo”, cioè di quei blocchetti di pietra con una targa d’ottone collocate nel selciato (strada o marciapiede) con i sintetici identikit di chi, lì vicino, abitò o venne arrestato o prelevato dai nazifascisti in quanto ebreo, partigiano, oppositore. Tenuti in prigione od in campi di transito, questi perseguitati vennero poi uccisi o morirono per esecuzioni, trattamenti inumani e sfinimento in qualche Lager della galassia concentrazionaria hitleriana.
L’originale iniziativa si deve all’artista tedesco Gunter Demnig (Berlino, 27 ottobre 1947, https://www.stolpersteine.eu/) che incorporò in uno spazio urbano pubblico la sua prima “pietra d’inciampo” (Stolperstein) a Colonia, nel 1992, in memoria di sinti e rom deportati dai nazisti nel maggio 1940.
In un primo pezzo (https://ilgiornaledeiveronesi.it/notizie-verona/pietre-dinciampo-anche-ad-isola-della-scala-ed-a-trevenzuolo-perche-a-verona-no/), del 9 novembre 2021, venivano un po’ tirate le orecchie a Verona capoluogo perché, a differenza di altri comuni della provincia (come Isola della Scala a Trevenzuolo) e d’Italia, non era stato ancora posto alcuno di quei particolari, sintetici riferimenti a tragiche vicende umane, nonostante ampia documentazione storica su veronesi catturati in città o scovati altrove e poi soppressi (le steli in ricordo “degli ebrei deportati da Verona e vittime della barbarie nazifascista” presenti nel Cimitero ebraico di via Antonio Badile 89, ad esempio, riportano 63 nominativi di appartenenti alla Comunità ebraica locale e di forestieri rastrellati anche nel Veronese e, quindi, avviati verso i campi di sterminio).
Un secondo articolo (https://ilgiornaledeiveronesi.it/attualita/cultura/storia/27-gennaio-giorno-della-memoria-la-deportazione-verso-la-morte-di-ada-tedesco-scordata-dalla-natia-cerona-ricordata-nelladottiva-bolzano/), del 27 gennaio 2022, “Giorno della memoria”, ha rievocato la tragica vicenda di Ada Tedesco, ebrea nata a Verona, poi trasferitasi a Bolzano dove venne arrestata nel settembre 1943 per essere condotta all’eliminazione, forse nel K.L. Auschwitz. Una “pietra d’inciampo” a lei dedicata è stata inserita presso il suo ultimo domicilio, nella pavimentazione del passaggio Antico Municipio/Am Alten Rathaus, in via dei Portici/Laubengasse 30, a Bolzano. Verona, invece, ha dimenticato la sua ex concittadina per nascita…
Forse perché i tempi istituzionali erano finalmente maturi o scevri da pregiudiziali di parte (non certo per effetto di personali ed inascoltati suggerimenti in merito presentati od inviati tramite e-mail a due “disinteressati” assessori competenti ed a “distratti” membri del Consiglio comunale di Verona – che non risposero nemmeno per ovvia cortesia – da febbraio 2019 in poi e di cui conservo in archivio il relativo carteggio, “Pietre d’inciampo”. Perché no a Verona?), il 15 maggio sono stati finalmente piazzati i primi sampietrini con targa d’ottone sulla facciata superiore. Uno dedicato a Tullio Basevi, davanti a via Stella 6 e l’altro a Gilda Forti, accanto a via Duomo 5, cugini tra loro.


Fu a casa di Tullio Basevi (Verona, 29 giugno 1889, maestro d’orchestra ed insegnante di canto), che si sarebbe rifugiata dalla sua abitazione Gilda Forti per tentare di sfuggire alla caccia agli ebrei. I genitori di Tullio furono Marco Basevi e Luigia Elisa Cuzzeri mentre con la moglie Emma De Angelis ebbe due figli, Giuseppe Yossef Oscar e Giuliana.


La sua scheda nel Cdec, Centro di documentazione ebraica – Digital library (http://digital-library.cdec.it/cdec-web/persone/detail/person-710/basevi-tullio.html), cita l’arresto avvenuto il 24 novembre 1944, il trasferimento nel Campo di transito di Bolzano (Polizei- und Durchgangslager Bozen o Dulag Bozen, ex luogo fascista d’ammassamento di prigionieri di guerra alleati, nel quartiere di Gries-San Quirino), la partenza in treno per la deportazione, il 14 dicembre 1944, nel Campo di concentramento di Flossenbürg, tra Norimberga e Praga, dove arrivò il 20 dicembre seguente. Il decesso di Tullio Basevi, secondo la scheda del Cdec, avvenne l’11 gennaio 1945. L’ottone del cubo riporta: “Qui abitava Tullio Basevi nato 1889 arrestato 24.11.1944 deportato Flossenbürg assassinato 11.1.1945”.
Gilda Forti (Verona, 27 giugno 1896, impiegata), a sua volta, era figlia di Lepoldo Benzion Forti ed Emilia Basevi. Sempre secondo la relativa scheda del Cdec (http://digital-library.cdec.it/cdec-web/persone/detail/person-2813/forti-gilda.html), venne arrestata il 25 novembre 1944 (strana la data menzionata diversa, anche se solo d’un giorno, rispetto al cugino presso cui Gilda avrebbe trovato riparo. Se coabitavano, la cattura sarebbe successa, per ambedue, negli stessi momenti) e portata nel Campo di transito di Bolzano. Da lì, il 14 dicembre 1944, fu aggregata ad un convoglio ferroviario (probabilmente lo stesso del cugino Tullio Basevi, con più smistamenti di prigionieri) con destinazione il Campo di concentramento di Ravensbrück (nell’omonimo villaggio nei pressi di Fürstenberg, ad una novantina di chilometri da Berlino) dove giunse il 20 dicembre successivo e trovò la morte in data sconosciuta. Il memento in pietra scandisce: “Qui abitava Gilda Forti nata 1896 arrestata 24.11.1944 (e questa potrebbe essere la data “logica” del fermo, n.d.t.) deportata Ravensbrück assassinata”.
A tali prime Stolpersteine a Verona se ne aggiungeranno, quanto prima, altre due nel rispetto evocativo dei fratelli Lina Arianna e Ruggero Jenna, nella pavimentazione di via Emilei 24, dove risiedevano.
Lina Arianna (Venezia, 17 dicembre 1886, scultrice e poetessa), figlia di Riccardo Jenna ed Ida Orefici, dopo l’arresto a Verona, il 2 giugno 1944, venne trasferita nel Campo di polizia e transito di Fossoli (Polizei- und Durchgangslager, Carpi, Modena), tappa intermedia prima del suo avvio verso il K.L. Auschwitz (Konzentrationslager Auschwitz, nelle vicinanze della cittadina polacca di Oświȩcim, in tedesco Auschwitz) II Birkenau, su un treno partito il 26 giugno e che arrestò la corsa il 30 giugno. La sua scheda del Cdec (http://digital-library.cdec.it/cdec-web/persone/detail/person-4174/jenna-lina-arianna.html) menziona il 20 marzo 1945 quale giorno della sua fine.
Il fratello Ruggero (Venezia, 17 dicembre 1887, avvocato), sposato con Rita Clorinda Lana e padre di Paolo Ruggero Jenna, fu preso a Bosco Chiesanuova (Verona) l’8 luglio 1944, internato nel Campo di transito di Bolzano fino al 24 ottobre 1944, unico trasporto di deportati da quel Lager direttamente verso il K.L. Auschwitz II Birkenau, arrivato il 28 ottobre, data che, secondo la scheda del Cdec (http://digital-library.cdec.it/cdec-web/persone/detail/person-cdec201-144/jenna-paolo-ruggero.html), corrisponde a quella della morte in quanto, evidentemente, subito selezionato per la camera a gas.
Le “pietre d’inciampo” rievocative in Italia, secondo informazioni aggiornate al 15 settembre 2022 (https://it.wikipedia.org/wiki/Pietre_d%27inciampo_in_Italia#cite_note-12), ammontano a 2.096, distribuite in 252 Comuni. Nel Veneto sono 201 ed il maggior numero di manufatti ha trovato sede a Venezia (135, tra il 12 gennaio 2014 ed il 28 gennaio 2022) ed a Padova (34, dal 13 gennaio 2015 al 27 gennaio 2022).
Città che vai, “pietra d’inciampo” che trovi…
Viaggiando ci si può imbattere, facendo attenzione, in qualcuno dei “cubi-memorandum” ideati da Gunter Demnig.
A Brescia, ad esempio, sul marciapiede prospiciente il civico 88 di via Corsica, è vedibile il cubo con targa in ottone che attiene ad Oreste Ghidelli (“Qui abitava Oreste Ghidelli nato 1913 arrestato come politico deportato Flossenbürg Zwickau assassinato 1.4.1945”).





Come si legge su https://www.deportatibrescia.it/deportato-bresciano/ghidelli-oreste/, Oreste (Brescia, 27 maggio 1913, autista o meccanico), figlio di Giacomo Ghidelli e Maria Teresina Viglioli, venne arrestato in giorno non noto a Milano (dove s’era trasferito), rinchiuso nel carcere di San Vittore e, quindi, trasferito nel Campo di transito di Bolzano il 18 gennaio 1945. Per ordine del Befehlshaber der Sicherheitspolizei und des Sicherheitsdienstes (o Befehlshaber der SiPo und des SD o BdS), cioè il comandante della polizia di sicurezza e del servizio di sicurezza (o comandante della SiPo e della SD o BdS in sintesi), il 23 gennaio fece parte d’un trasporto alla volta del Campo di concentramento di Flossenbürg.
Classificato come Schutzhaftling Politisch (deportato politico per motivi di sicurezza), il 21 febbraio 1945 passò al sottocampo di Zwickau. Venne probabilmente ucciso durante il duro cammino d’evacuazione (tristemente noto come “marcia della morte”) dall’avanzata alleata, il 1° aprile 1945.
Aggiornamenti su di lui si possono leggere in https://dimenticatidistato.com/2019/02/16/una-pietra-dinciampo-per-oreste-ghidelli/.
Sul percorso pedonale della centralissima via Nazionale 87, a Roma (lato sinistro, da piazza della Repubblica a piazza Venezia, nel rione Monti), invece, s’incappa nella “pietra d’inciampo” attinente a Beniamino Di Cori (Roma, 3 ottobre 1879, commesso), caduto in mani nazifasciste il 23 aprile 1944. Sulla lamina in ottone del sampietrino, davanti al massiccio portone d’accesso a dove viveva, è inciso: “Qui abitava Beniamino Di Cori nato 1879 arrestato 23.4.1944 deportato Auschwitz assassinato 30.6.1944”.



La specifica scheda del Cdec (http://digital-library.cdec.it/cdec-web/persone/detail/person-2057/di-cori-beniamino.html) sintetizza anche il suo dramma. Figlio di Isacco Di Cori e Colomba Di Veroli e sposato con Letizia Di Cori (Allegra), fu catturato il 23 aprile 1944 ed incarcerato nella sua città prima d’essere tradotto al Campo di polizia e transito di Fossoli. Fece parte del convoglio di deportati (come la veneziana-veronese Lina Arianna Jenna) che, il 26 giugno seguente, lasciò Fossoli in direzione del K.L. Auschwitz II Birkenau, dove giunse il 30 giugno e, selezionato, venne eliminato nella camera a gas nello stesso giorno.
Sono tutte (quelli veronesi e non solo) drammatiche storie personali entrate nella storia dell’uomo contro l’uomo e che non devono finire nell’oblio. Magari anche “incespicando” (non fa mai male!) nelle “pietre della memoria”…
Servizio e foto dell’attualità di
Claudio Beccalossi