Rinvenuti nel corso della demolizione della chiesa di San Michele alla Porta, nei pressi di Porta Borsari, hanno trovato discutibile sistemazione in un’“isola” verde nel piazzale del Cimitero monumentale
I resti d’un tempio pagano, dedicato a Giove Lustrale, nel piazzale del Cimitero monumentale, in un’“isola” verde incuneata nel tratto tra le due direttrici di marcia di via Francesco Torbido, a pochi passi dal fiume Adige e da ponte Aleardi. Vivacchiano alla meno peggio, nello spazio che una targa marmorea specifica trattarsi dei Giardini Emilio Moretto “Bernardino”, comandante partigiano, eroe della Resistenza veronese (1915-1992), cioè uno dei sei partecipanti dei Gruppi d’Azione Patriottica (Gap) che, il 17 luglio 1944, compirono un’incursione nel carcere veronese degli Scalzi per liberare l’antifascista Giovanni Roveda, arrestato a Roma il 21 dicembre 1943. Un’azione riuscita ma in cui persero la vita Danilo Preto (o Pretto) e Lorenzo Fava.
A ridosso del traffico che imperversa attorno a loro, i manufatti storici incuriosiscono, più che attirare per arricchimento personale, soprattutto gli automobilisti costretti ad arrestarsi al semaforo. Turisti occasionali o cultori informati difficilmente bazzicano il sito archeologico dimenticato, anche perché, per raggiungerlo dopo averlo individuato, occorre attraversare una delle due corsie di via Torbido attorno su vie pedonali non proprio concomitanti.
La lapide sistemata davanti agli autorevoli marmi romani e che dovrebbe illustrarne l’identità agli eventuali visitatori è completamente illeggibile, compreso lo stemma della città di Verona, non in quanto consunta dal tempo ma perché intaccata da microorganismi (muffe, funghi, muschio), da fattori inquinanti (scarichi dovuti all’alta densità di circolazione nella zona) e da banale sporcizia (polvere e quant’altro).
Un’ulteriore urgenza della “macchina comunale” sarebbe pure la valutazione (o riconsiderazione) del sito, nel rispetto globale degli stessi trascorsi storici di Verona di cui il solo anfiteatro Arena non può essere la punta dell’iceberg d’attrazione turistica.
I resti vennero alla luce all’inizio degli anni Trenta, durante la demolizione della chiesa di San Michele alla Porta che sorgeva lungo la via Postumia, nei pressi di Porta Borsari, l’antica Porta Iovia che faceva ipotizzare l’esistenza d’un tempio dedicato a Giove nei suoi dintorni.
Sotto la chiesa di San Michele alla Porta, quindi, s’individuarono delle strutture romane preesistenti e che, probabilmente, rappresentano il basamento dell’edificio cristiano. Si trattava, appunto, del tempio a Giove Lustrale (così attribuito dal soprintendente d’allora, Errore Ghislanzoni) risalente alla prima metà del I secolo. Nel 1932 i resti in muratura dell’edificio romano furono interamente demoliti, mentre vennero recuperati, almeno in parte, i blocchi lapidei che formavano la parte interiore del perimetro e la zoccolatura. I manufatti salvati trovarono ubicazione, in un primo momento, in piazzetta Santi Apostoli, ma poi finirono per essere trasferiti nel piazzale del Cimitero monumentale.
La vicenda va integrata così. Nel 1930 sparirono sotto i colpi di ruspa gli edifici fra Porta Borsari e l’Adige nell’ambito della realizzazione del ponte della Vittoria (con progetto elaborato dall’architetto Ettore Fagiuoli e dall’ingegnere Ferruccio Cipriani), tra il 1928 ed il 1931. Nello strato sottostante la chiesa di San Michele alla Porta tornarono alla luce i ruderi d’una costruzione dell’epoca romana, nello specifico un sotterraneo in muratura ed una sezione sopraelevata in pietra, spostati senza rilievi ed analisi.
Vennero ritrovati un basamento, dei parallelepipedi di pietra del podio, un lastrone del culmine del podio stesso, fondamenti di pilastri, una soglia di porta principale, due capitelli corinzi privi di volute esterne, componenti di cornici terminali, una parte di fusto di colonna, una lapide dedicatoria. Quanto strappato da sottoterra consentì di rifare a tavolino la struttura riemersa, con studio e relativi disegni di Vittorio Filippini pubblicati su “Vita Veronese” (rivista fondata nel 1948 da Gino Beltramini, Lanfranco Vecchiato ed Emilio Giacometti) di novembre-dicembre 1954.
Secondo la tesi più accreditata, quelli che campano nei Giardini Emilio Moretto “Bernardino” sono componenti d’un piccolo tempio con un pronao a colonne od a pilastri, dotato d’una scalinata d’accesso. Gli esperti lo definirono un tempio offerto a Giove Lustrale perché, nei paraggi, furono rinvenute due altari votivi intitolati proprio alla divinità ma i pareri di alcuni studiosi dissentirono da questa versione, reputando riduttive le dimensioni del luogo di culto rispetto all’importanza della divinità venerata. Certi lo considerarono un complesso funerario ed altri un tempio collocato in un’area termale.
Così com’è adesso, il nucleo “traslocato” dall’ubicazione primitiva costituisce un’occasione perduta d’arricchimento dell’“offerta” archeologica ed un “vuoto di memoria” congenito di quanti avrebbero dovuto o dovrebbero salvaguardarlo ed ottimizzarlo, magari provvedendo pure a censire tutte le tessere del puzzle archeologico a cielo aperto.
Di recente la Commissione Sesta del Comune di Verona, presieduta da Mauro Bonato, ha votato all’unanimità la mozione presentata da Andrea Bacciga per riposizionare gli elementi del tempio di Giove Lustrale in un’altra sede più turisticamente vedibile, cioè nei giardini di lungadige San Giorgio o nel Parco Santa Marta. I marmi abbandonati a loro stessi, intanto, aspettano che il risveglio dal lungo “letargo” dell’omissione d’interesse pubblico dia sviluppi concreti.
Claudio Beccalossi