L’abbandono da… bollino rosso della molto ex “Centrale del latte di Verona”, in via Francia, da lungo, troppo tempo, è una pesante vergogna. La travolgente incuria e l’arrogante degrado che riguardano il complesso sono ormai diventati perfino seccanti, oltre la misura dell’elementare buon senso.
È un’immagine periferica che deprime, oscenamente esposta ai frequentati pressi del casello autostradale di Verona Sud, di Veronafiere, dei relativi parcheggi, di hôtels vari (tra cui il confinante, suo malgrado, top hôtel Crowne Plaza) e degli avanzi da fallimenti, chiusure, delocalizzazioni, affittasi e/o vendesi di quella che era la “gloriosa” Zai (Zona agricolo industriale).
Dopo il trasferimento nel 1960 in via Francia dalla vecchia sede in via Golosine, sembrava che il futuro della “Centrale” fosse senza macchie, bianco appunto come il latte. Invece, gli edifici vennero dismessi negli Anni Novanta del secolo scorso, senza alcuna salvaguardia successiva delle particolari strutture tra cui quella principale, dalla copertura ad un’unica falda e con ampie vetrate sulla facciata. Il nucleo dovette pure fare i conti con un incendio, con l’accumulo di rifiuti e con l’occupazione di abusivi, poi sgomberati dalla Polizia locale.
La miseria residuale delle costruzioni languisce in attesa dell’implosione mentre anche il corpo “provvisorio” (che in Italia corre sempre il rischio del “definitivo”) dell’“Accademia d’arte circense”, fondata e presieduta da Egidio Palmiri e diretta da Andrea Togni, dopo un annoso e corrosivo tira e molla con l’amministrazione comunale, è finalmente riuscita ad andarsene dall’inadatto spazio di oltre 7mila mq in cui tirava avanti tra difficoltà logistiche ed economiche ed a reinsediarsi a non molta distanza, in via Tirso 3.
L’“Accademia” è sorta a Verona nel 1988 per poi trasferirsi a Cesenatico, in un’ex colonia estiva ristrutturata. Nel 2004 è tornata nel capoluogo scaligero, dove il patron Palmiri ha concentrato il suo consistente archivio specialistico, compresi i fondi lasciati dal Cedac (Centro documentazione arti circensi) e dal giornalista Massimo Alberini, collaboratore del “Corriere della Sera” per cinquant’anni. La “base” funge anche da redazione di “Circo” (rivista e sito), l’unica voce di categoria in Italia, tutto nella visione ottimale di Palmiri verso l’ipotizzato “Museo del circo”.
Sgombrate le tensostrutture a moduli (al cui interno erano state ricavate palestre, sala danza e spazi per gli allenamenti nelle varie discipline) e gli ambienti di contorno (alloggi per gli allievi, sala mensa, ambienti per studio e gioco), dei trascorsi circensi nella superficie interna vicino alle decadenti vestigia della “Centrale del latte” era rimasto solo il nome (“Accademia d’arte circense”) ad arco sull’ingresso, malamente protetto da teloni e mesto gingillo d’un recente passato, oggi non più presente.
La rovina finale sembra attendere come un avvoltoio l’ex nucleo lattiero di via Francia. Ed i vari moniti al prossimo non autorizzato che voglia curiosare incoscientemente all’interno (“Attenzione fabbricato pericolante possibilità di crollo”) ha ormai il pathos del presentimento, dell’ineluttabile…
Claudio Beccalossi