- Cappellani militari ortodossi russi nel mirino dei cecchini di Kyïv
- Moschea colpita sei volte in un anno
- Chiese romano-cattolica e protestante chiuse
- Le vittime dal 2014 ricordate nel Viale degli Angeli e nel “Museo delle Tre Guerre”
Donetsk (Repubblica Popolare di Donetsk) – Anche le confessioni religiose sono state prese per i capelli nel conflitto russo-ucraino tra fratelli (come sento spesso ripetere dai vari interlocutori che guardano a Mosca). Secondo una statistica effettuata nel 2019 dal Centro “Razumkov”, o Centro ucraino per gli studi economici e politici (un think tank non governativo che compie ricerche in politiche interna, economica, sociale, estera, amministrazione statale, energia, relazioni territoriali, sicurezza internazionale e regionale, sicurezza e difesa nazionale), formato il 15 agosto 1994, con sede centrale a Kyïv ed intitolato all’ex membro Olexander Razumkov (17 aprile 1959 – 29 ottobre 1999), gli ortodossi costituivano, a quel momento, il 64,9% della popolazione ucraina, i cattolici l’11,1% ed i protestanti l’1,8%.
The Association of Religion Data Archives (ARDA – https://www.thearda.com/ – istituito nel 1997 ed ospitato nel Dipartimento di Sociologia della Pennsylvania State University), nei links World Religion – Nations – Ukraine (https://www.thearda.com/world-religion/national-profiles?u=231c), fornisce informazioni aggiornate al 2020 sugli aderenti alle religioni in Ucraina: i cristiani formano l’84,61% dei fedeli (gli ortodossi il 70,88%, i cattolici l’11,20% ecc.). Esistono, poi, percentuali pari a 1,64% di musulmani (sunniti 1,46% e sciiti 0,18%) ed a 0,6% di ebrei. La maggior parte degli islamici in Ucraina sono d’etnia tatara di Crimea e sono stanziati, appunto, nella penisola di Crimea, annessa alla Russia dopo il Referendum popolare sull’autodeterminazione (ufficialmente Referendum generale della Crimea) del 16 marzo 2014 in cui il 95,4% dei votanti optò per Mosca. Kyïv, invece, la rivendica come repubblica autonoma appartenente all’Ucraina e la considera “territorio temporaneamente occupato”.
Pope Aleksandr
La premessa statistica è necessaria per evidenziare a dovere la missione religiosa al fronte di clero ortodosso volontario nell’assistenza spirituale ai militari ex russofoni ed ex filorussi (dal 30 settembre 2022 formalmente cittadini della Federazione russa) ed a quelli affluiti nel Donbass contro le forze armate dell’Ucraina.
Ovviamente, si tratta di appartenenti alla Chiesa ortodossa russa (Russkaja pravoslavnaja cerkov) o Patriarcato di Mosca (Moskovskiy patriarkhat) retta dal patriarca di Mosca e di tutte le Russie, Kirill (Cirillo, al secolo Vladimir Michajlovič Gundjaev, Leningrado oggi Sankt Peterburg, 20 novembre 1946), in carica dal 1° febbraio 2009. Quindi, nessuno di loro ha a che fare con l’autocefala Chiesa ortodossa dell’Ucraina (in ucraino, Pravoslavna cerkva Ukraïny), al centro (con il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli) dello “scisma ortodosso del 2018” dai retroscena nel 2014, con l’occupazione della Crimea e la sua successiva annessione alla Federazione Russa.
Nei pressi della chiesa Icona della Madonna, nel distretto Budyonnovsky e su interessamento del fixer assegnato dal ministero degli Esteri russo (il reporter Vittorio Nicola Rangeloni, nato da madre russa e padre italiano a Bellano, in provincia di Lecco, dal 2015 nel Donbass), incontro pope Aleksandr, cappellano militare provvisoriamente non impegnato con i soldati al fronte o nelle retrovie. Alla mia domanda su quale sia il morale dei combattenti a cui è rivolta la sua opera di supporto spirituale, risponde che «pur avendo inizialmente e nella maggior parte dei casi un forte carattere, nelle operazioni vivono difficili contesti che, poco alla volta, minano la loro “corazza”. Intervengo per un aiuto interiore in differenti situazioni».
«La guerra è morte – sottolinea pope Aleksandr – e quando vediamo un uomo soffrire cerchiamo di fargli forza comprendendolo, togliendolo all’indifferenza, all’apatia».
Informa della presenza di cattolici tra le fila dei mobilitati ma non ha contatti con loro. Per lui le ideologie dell’Occidente sono sataniche. «Il satanismo è sfortunatamente predominante nei nemici», sottolinea convinto. Ed a a me che gli chiedo una previsione sull’esito della guerra, risponde con un perentorio ¡No pasarán! È persuaso che tutto si risolverà. «Siamo popoli fratelli, si litiga, certo, ma poi s’arriva alla pace. Il grande problema è il governo ucraino».
Pope Aleksandr, come da rituale, benedice le truppe che vanno in prima linea, va a visitare le famiglie dei caduti (talvolta portando ferali notizie) per recar loro qualche parola di conforto. Lui e gli altri 21 cappellani militari in organico sono coordinati dal ministero della Difesa di Mosca. Nei loro confronti c’è una sorta di caccia all’uomo da parte degli ucraini, soprattutto cecchini.
Tre sacerdoti sono già stati uccisi, uno dei quali vittima d’un drone. Sono nel mirino perché è conosciuta l’incisività di quanto fanno nel sorreggere, motivare i soldati. Il loro ruolo nel tener alto il senso del dovere è importante, molto efficace. La parte ucraina lo sa bene e per questo cerca in tutti i modi di eliminarli.
L’imam Rashid Khazrad
Dall’inedita e tormentata pagina dei religiosi ortodossi russi obiettivi scelti da togliere di mezzo, all’imam della Comunità islamica dell’oblast’ di Donetsk che contava circa 120mila fedeli prima degli eventi bellici dal 2014 in poi, due moschee (a Donetsk ed a Mariupol’) e tre sale di preghiera in altre località.
È Rashid Khazrad, imam dal 1993 (cioè da quando s’è formata ufficialmente la collettività), sempre rieletto ad ogni scadenza quinquennale della carica. Concordato un appuntamento con lui in un parco del centro di Donetsk, guardati a vista da un uomo con pistola in fondina, ha subito rimarcato «il dovere d’ogni musulmano di difendere la propria patria».
E prosegue: «Noi abbiamo supportato il referendum per entrare a far parte della Federazione Russa. Io sono nato qui, amo il mio Paese. Viviamo piena libertà di religione e della sua pratica. Stiamo combattendo contro il satanismo degli Stati Uniti. In un anno la nostra moschea a Donetsk è stata colpita ben sei volte da bombardamenti ucraini».
Per i cappellani militari ortodossi e per l’imam della comunità islamica, perciò, il Grande Satana è l’Occidente, foriero e portatore di guerra, male, depravazione, lutto, rovina. Ma, per loro, non invincibile, un avversario soprattutto morale da contrastare, costi quel costi…
Chiese romano-cattolica e protestante dalle porte sprangate
Nel tragitto tra la zona della stazione ferroviaria e l’hotel dove alloggio m’incuriosisce, sulla sinistra della direttrice verso il centro, una chiesa non ortodossa come le tante altre presenti a Donetsk. Chiedo al fixer, il giorno dopo, d’accompagnarmi in quel luogo per un sopralluogo. Si tratta della chiesa romano-cattolica della parrocchia di San Giuseppe, intatta ma chiusa al culto per scarsità di fedeli e per la pericolosità del luogo, con la statua di Cristo a braccia allargate rivolta alla strada e due lapidi con iscrizioni in lingue polacca ed ucraina che ricordano i minatori ed i deportati dall’Alta Slesia, in Polonia, nel territorio dell’Unione Sovietica tra il 1945 ed il 1948. L’asfalto davanti è sfregiato dall’impatto d’un ordigno esploso. Di fronte, all’altro lato della via, sorge una chiesa protestante altrettanto sprangata.
Il Viale degli Angeli
Un momento toccante è il “pellegrinaggio” nel Viale degli Angeli, nel “Parco della memoria” del distretto di Kalininsky, lungo Shevchenka Boulevard, tra la stele marmorea in granito rosso d’intitolazione in lettere dorate e l’altra epigrafe di granito nero commemorativa di tanti, troppi bambini uccisi dal 2014 nel Donbass dalle forze armate regolari e da paramilitari ucraini. Un triste elenco, purtroppo, non aggiornato.
Si tratta d’un memoriale composto da una prima lapide di denominazione “Viale degli Angeli. In memoria dei bambini morti nel Donbass”, da una seconda con nomi ed età e da un arco soprastante decorato da rose (simboli di Donetsk), alto due metri e mezzo e largo due. Tra i fiori sono stati collocati proiettili di mitragliatrice pesante e colombe nella speranza, se non in segno, di pace. Buona parte dell’arco e dello spazio sottostante è occupata da pupazzetti e peluches, tenera e dolente vicinanza a vite innocenti spezzate.
Laceranti memorie di tre conflitti
Ci spostiamo verso il distretto Petrovsky, situato a sud-ovest rispetto al centro di Donetsk (zona piazza Lenin), a circa 4 chilometri, in linea d’aria, dal fronte bollente russo-ucraino. Pure in questo distretto una scuola, dalla vilipesa scritta in facciata Dobro pozhalovat’! (“Benvenuti!”), non è stata risparmiata dagli eventi bellici. Chiusa a qualsiasi attività didattica per i notevoli rischi alla sicurezza di alunni, insegnanti e personale, reca le lacerazioni inferte dalle forze armate ucraine che, di tanto in tanto, lanciano ordigni esplosivi nelle sue immediate vicinanze. Le schegge impazzite hanno trapassato i vetri impattando sulle pareti interne e perforando la porta di un’aula dov’era in corso una lezione d’inglese.
Ora, con la scuola inerte, rimane operativo il “Museo delle Tre Guerre” (della Seconda mondiale, dell’Afghanistan e del Donbass) che, tramite un notevole quantitativo di materiale, rievoca drammatici avvenimenti entrati nella storia contemporanea.
Reperti, armi, cimeli, documenti, giornali e mappe d’epoca, foto, video ecc., a stragrande maggioranza originali, costituiscono un corposo archivio, nell’aggiornamento continuo di ciò che riguarda soprattutto il Donbass. Il museo ha un percorso strutturato in cinque sale (cronologicamente, due sugli eventi nel Donbass, due sulla Seconda guerra mondiale ed una sulle ostilità in Afghanistan).
La prima sala è un pugno allo stomaco per qualsiasi grado di sensibilità. Nella parca illuminazione e tra i rintocchi d’una campana a lutto, su tre monitor s’alternano foto di vittime nel Donbass dal 2014 in poi: bambini, civili, militari, russofoni e filorussi. Una lunga, angosciante sequenza di tragedia e pena in cui il termine risolutore “pace” (mir) non riesce ancora a farsi spazio.
Servizio e foto di Claudio Beccalossi