Non ci sono parole, Semmai tanta tristezza. E rabbia… L’efficace murales su spezzoni di vita del “Ginettaccio” nazionale è stato parzialmente rovinato dai soliti vandali dalla bomboletta facile, aumentando a dismisura il degrado dovuto all’umidità. Faceva integra, bella mostra di sé nel tratto ciclo-pedonale di circa 400 metri in omaggio al “Ciclista Gino Bartali Medaglia d’oro al Merito civile 1914 – 2000” (come cita la targa in marmo apposta), inaugurato domenica 8 maggio 2016 in borgo Venezia, nel breve tragitto tra le vie Pisano e Badile, quasi di fronte all’ingresso del Cimitero della Comunità ebraica di Verona.
Il muro a lato è stato concesso dall’azienda Siof (Società italiana ossidi ferro) srl perché potesse essere utilizzato come “parte espositiva” dei suggestivi murales ispirati, appunto, alla biografia di Bartali e realizzati da due artisti veronesi, l’architetto e writer Michele De Mori e il designer, grafico ed esperto in walldesigner “Ilpier” (Pier Paolo Spinazzè), con il supporto di altri “artisti da strada”. I vertici della Siof, ditta produttrice di ossidi ferrosi dal caratteristico colore sull’arancio, hanno finanziato le spese per il materiale necessario a patto che gli esecutori tinteggiassero d’arancio lo sfondo della parete esterna, condizione rispettata.
Ben poco rispetto, invece, l’hanno dimostrato gli ignoti autori di sgorbi scarabocchiati sul murales,sovrapponendo e cancellando addirittura varie parti. Un vero schiaffo agli autori dell’opera ed all’antagonista del “campionissimo” Fausto Coppi, cioè al caratteriale Gino Bartali (Ponte a Ema, frazione divisa tra Bagno a Ripoli e Firenze, 18 luglio 1914 – Firenze, 5 maggio 2000), le cui spoglie riposano nel cimitero del paese natale ai piedi della collina Fattucchia, lungo Via Chiantigiana, dov’è stato allestito il Museo del ciclismo “Gino Bartali”.
La lapide d’intitolazione della breve via ciclo-pedonale era stata scoperta dagli allora presidente della Circoscrizione 6^, Mauro Spada ed assessore allo Sport e Tempo libero (nonché Servizi demografici, Economato e Statistica) del Comune di Verona, Alberto Bozza. Aveva poi espresso il suo compiacimento per la dedica il nipote di Gino, Giacomo Bertagni, figlio di Bianca Maria Bartali, mentre il rabbino di Verona, rav Yosef Labi, s’era lasciato andare ad un commovente intervento seguito dalla recita del salmo 20 in memoria del ciclista e di due passaggi dal Pirkei Avot (o Pirqei Avot, cioè “Capitoli dei Padri”, raccolta di insegnamenti etici e massime risalenti ai rabbini dell’era mishnaica).
Il vicepresidente della Comunità ebraica, Ariè Tieger, aveva rappresentato gli ebrei veronesi nel ringraziamento di quanto fatto da Bartali tra il settembre 1943 ed il giugno ’44 come membro dell’organizzazione Delasem (acronimo di Delegazione per l’assistenza degli emigranti ebrei, movimento di resistenza ebraico operante in Italia dal 1939 al 1947 per portare aiuti economici agli ebrei internati o perseguitati, avvalendosi pure dell’aiuto di vari non ebrei) rischiando in prima persona: “trasportando documenti nascosti sotto il sellino e nelle tubature della sua bicicletta, ha permesso di salvare la vita a 800 ebrei italiani, francesi e jugoslavi”.
Per tali suoi meriti sottaciuti a lungo, il 31 maggio 2005, a Roma, il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha conferito e poi consegnato alla moglie sposata nel 1940, Adriana Bani (1919-2014), la medaglia d’oro al merito civile alla memoria del marito. Inoltre, il 2 ottobre 2011 il nome e la figura di Gino Bartali sono stati annoverati tra i “Giusti dell’Olocausto” nel “Giardino dei Giusti del Mondo” di Padova (zona Terranegra) per quanto fatto a favore degli ebrei minacciati durante la Seconda Guerra Mondiale. Ed ancora come ennesima onorificenza, anche questa purtroppo tardiva, il 23 settembre 2013 il campione di ciclismo e d’umanità è stato dichiarato “Giusto tra le nazioni”, su conferimento dello Yad Vashem, “Ente nazionale per la Memoria della Shoah”,istituito con legge del memoriale del 19 agosto 1953 del Parlamento israeliano (Knèsset).
Nel corso dell’occupazione nazista nascose, in una cantina di sua proprietà, una famiglia ebrea fino all’arrivo degli Alleati. “Il bene si fa ma non si dice. E certe medaglie s’appendono all’anima, non alla giacca”, ribadiva l’uomo di ciclismo e d’umanità che insabbiò a lungo le sue gesta di pericoloso altruismo.
D’un alto esempio del genere, evidentemente, se ne fanno un baffo i cattivi frequentatori del percorso ciclo-pedonale, inesorabili vandali accaniti con il murales e tossicodipendenti senza ritegno che lasciano avanzi di loro demeriti consumi: “pentolini” fai-da-te ricavati da fondi di lattine per la preparazione di dosi di droga pesante (eroina?). Forse sarebbe necessario un maggior controllo in zona da parte di chi di dovere…
Claudio Beccalossi