È tra le attrattive storiche veronesi più percorse e visitate, un passaggio quasi obbligato per veronesi e non che amano immergersi nelle sue suggestive atmosfere medievali, per giunta senza pagare alcun biglietto d’accesso. Si tratta del ponte di Castelvecchio (o ponte scaligero, progetto forse di Guglielmo Bevilacqua) che unisce le due sponde dell’Adige tra il complesso fortificato e museale, appunto, di Castelvecchio (ed il suo corso omonimo) ed i giardini Gazzola, in lungadige Campagnola, di fronte all’ex Arsenale austriaco.






Servirebbe un contapersone per sapere il numero di quanti camminano quotidianamente sul ponte, impennate turistiche comprese. Sarebbe un utile strumento statistico che dimostrerebbe ancora di più il particolare fascino del congiungimento sul fiume, braccio del bastione denominato, inizialmente, castello di San Martino in Aquaro, dall’attribuzione d’una chiesa risalente all’VIII secolo i cui resti sono presenti all’interno della corte d’armi.
Cangrande II della Scala (dinastia che governò per 125 anni, dal 1262 al 1387) commissionò, tra il 1354 ed il 1356, l’assetto costruttivo su preesistenti roccaforti di quello che sarebbe stato un castello urbano con ponte fortificato, poi completato nel 1376 con l’alto mastio per volontà di Antonio e Bartolomeo della Scala.
Il nucleo (suddiviso in corte della reggia, cortile maggiore con la piazza d’armi, la torre del mastio, alta 42 metri, che collega al ponte a tre arcate) non costituiva solo una residenza dei Signori di Verona ma assolveva anche compiti di presidio difensivo da eventuali attacchi provenienti dall’inquieta città e di strategico scampo verso il Tirolo da pericolose sommosse.
Con l’avvento della Repubblica di Venezia dopo la breve parentesi dei Visconti, Castelvecchio trovò funzioni come residenza del castellano e del cappellano e quali caserma, arsenale d’artiglieria, armeria, polveriera e magazzino di scorte alimentari, parzialmente come carcere. Nel 1759 vi s’insediò il Veneto Militar Collegio. I successivi dominanti francesi adattarono il complesso in arsenale, ridotto difensivo urbano e caserma. I ruoli d’arsenale e caserma andarono a genio agli austriaci, nuovi “padroni”.
Sotto il Regno d’Italia, tra il 1923 ed il 1926, venne effettuato un drastico restauro di Castelvecchio (diretto dall’ingegnere ed architetto Ferdinando Forlati e dal professor Antonio Avena) che tolse di mezzo le connotazioni militari ed introdusse componenti architettonici tardogotici e rinascimentali di reimpiego, ripristinando le merlature e ricostruendo la torre dell’orologio, eliminate le une e demolita l’altra dai francesi. Nel 1928 assunse il suo importante ruolo di museo, contenitore illustre di collezioni d’arte e reperti medievali, rinascimentali e moderni (fino al XVIII secolo).
Durante le Seconda guerra mondiale, dopo il fatidico 8 settembre 1943, Castelvecchio non venne risparmiato dai duri bombardamenti aerei alleati su Verona. Subì gravi danni soprattutto in conseguenza degli attacchi delle formazioni USAAF (United States Army Air Force) del 4 gennaio e del 6 aprile 1945.
Ma la più efferata distruzione si verificò la sera del 25 aprile 1945, quando, per attuare una predisposta manovra tattica tedesca di ripiegamento verso nord, i genieri della Wehrmacht fecero saltare, assieme agli altri ponti sull’Adige cittadini, anche quello di Castelvecchio di cui sopravvissero solo i moncherini delle due pile.


L’opera di ricostruzione prese avvio già alla fine del 1945 con la ripulitura dell’alveo del fiume dalle macerie. Il progetto di rifacimento del ponte (invece della realizzazione d’un altro) interessò l’architetto ed ingegnere Piero Gazzola, supportato dall’ingegnere Alberto Minghetti per la competenza tecnica e dall’architetto Libero Cecchini per l’artistica.




Nel 1948/1949 proseguirono gli interventi, con la fedele ricollocazione nell’ambito dovuto dei conci di pietra recuperati ancora intatti. Il lavoro certosino fu permesso dalla documentazione fotografica e dai rilievi realizzati prima della devastazione. Per quanto riguardò l’irreparabile, si sfruttò lo studio dei cromatismi delle pietre per conoscere la cava da dove provennero i blocchi adoperati in periodo medievale.
Nella cava individuata, ubicata a San Giorgio di Valpolicella, trovarono estrazione le nuove lastre per rimpiazzare le originarie andate distrutte o danneggiate. Diverso percorso ebbe il laterizio originale pervenuto da varie fornaci. Fu optata la dotazione da cantieri di fabbricati in demolizione che usavano prodotti di fornaci veronesi e mantovane.
Il rifacimento dello storico ponte di Castelvecchio, abbattuto dalle ultime impennate di guerra a Verona, si concluse nel 1951. E, tra il 1958 ed il 1964, Castelvecchio ebbe un ulteriore, notevole restauro in totale prospettiva museale grazie a Licisco Magagnato (storico dell’arte e direttore dei musei e delle gallerie veronesi dal 1955 al 1986) ed all’architetto Carlo Scarpa.
Icona del maniero è la statua equestre di Cangrande I della Scala in armi, scultura forse del veronese Giovanni di Rigino o del comasco Bonino da Campione. Comunque del XIV secolo (1340/1350), tolta nel 1909 dalla sua sistemazione primaria nelle Arche Scaligere (agglomerato funerario in stile gotico degli Scaligeri, accanto alla chiesa rettoriale di Santa Maria Antica), sulla sommità della tomba dell’illustre Signore di Verona, sostituita da una copia lavoro dello scultore Rodolfo Dusi.
Risorto a nuova vita dopo secoli d’illustre passato, il ponte scaligero è tuttora e sempre più uno dei red carpet più gettonati da chi vive Verona anche per un solo giorno.
Servizio e foto di
Claudio Beccalossi