- Doneck nel mirino di missili ucraini
- Giornalisti a tu per tu col leader della Repubblica Popolare, Denis Vladimirovič Pušilin
- L’opera russa di normalizzazione sociale a Volnovakha
- Le rovine di Mariupol e la rapida edificazione di nuovi complessi residenziali
- Finalmente svelato il “segreto” della “Z” su blindati ed automezzi militari di Mosca?
Servizio, foto e video di Claudio Beccalossi
Da Avilo-Uspenka a Doneck e Volnovakha
Il 30 agosto, rispettato l’orario di partenza prima dell’alba, il pullman ha lasciato Rostov sul Don alla volta di Avilo-Uspenka, posto di confine prima con l’Ucraina ed ora con la Repubblica Popolare di Doneck (DNR, proclamata il 7 aprile 2014, riconosciuta a livello internazionale solo da Russia, Repubblica Popolare di Lugansk, Corea del Nord, Siria, Ossezia del Sud, Abcasia).
Qui, noi giornalisti siamo stati sottoposti ad un minuzioso controllo di bagagli, passaporti e tesserino dell’Ordine, documenti visionati con la lente d’ingrandimento e scannerizzati.
Poi, risaliti a bordo, abbiamo dovuto obbligatoriamente indossare elmetto e giubbotto antiproiettile contenuti in borsoni consegnatici dai militari russi.
Percorso il centinaio di chilometri di distanza dalla frontiera, siamo entrati a Doneck e ci hanno portato subito a condividere i danni provocati poco tempo prima da missili ucraini su alcuni punti della capitale de facto ma con status ancora conteso.
L’entrata, alcuni interni, la facciata, e le immediate vicinanze dell’Hotel Central (dove alloggiavano giornalisti) sono risultati pesantemente disastrati, auto all’esterno comprese, da un attacco missilistico ucraino e così pure un complesso industriale alla periferia “visto da vicino”, pressoché raso al suolo.
Un giornalista d’origine venezuelana (che ha vissuto per cinque anni a Roma e che, perciò, parlava un buon italiano) residente a Doneck, m’ha riferito che, oltre all’Hotel Central, erano stati colpiti altri due alberghi, pure lì con ospiti media internazionali. Gli ucraini avevano bombardato anche alcune scuole, ancora non frequentate da bambini. Sono finiti sotto il fuoco di stampo terroristico personale ed insegnanti che stavano preparando i pasti per la ripresa delle lezioni dal 1° settembre. Entrato in una di queste scuole per effettuare riprese, il giornalista ha inciampato nel cadavere della cuoca, unica vittima.
Il presidente della Repubblica Popolare di Doneck
Mentre stavamo documentando il risultato dell’attacco all’hotel, è arrivato sul posto con la sua scorta il leader della Repubblica Popolare di Doneck, Denis Vladimirovič Pušilin, per aggiornare su eventi e situazione militari. Pušilin (Makeevka, in russo, Makiïvka, in ucraino, 9 maggio 1981) è il presidente della Repubblica dopo le elezioni dell’11 novembre 2018 (che gli osservatori internazionali giudicarono regolari e legittime) e comandante supremo delle Forze armate. Ha sostituito il precedente capo di Stato, Aleksandr Vladimirovič Zacharčenko (Doneck, 26 giugno 1976 ed in carica dal 4 novembre 2014), ucciso in un attentato con un’autobomba il 31 agosto 2018 a Doneck.
Membro del partito “Repubblica di Doneck” e del partito di governo russo “Russia Unita”, Pušilin risulta wanted dall’Ucraina per collaborazionismo, separatismo, alto tradimento, terrorismo e per “aver commesso atti con l’obiettivo di modificare o rovesciare con la forza l’ordine costituzionale o d’impadronirsi del potere statale”. È stato oggetto di due attentati, uno avvenuto il 7 giugno 2014 provocando la morte per colpi d’arma da fuoco d’un suo assistente. In un secondo, a brevissima distanza di tempo (nella notte tra il 12 ed il 13 giugno 2014), la sua auto (in cui lui non c’era) saltò in aria per una bomba collocata, causando il decesso di altri due suoi collaboratori.
Nella ressa della stampa presente, Pušilin, in conclusione, s’è fermato un attimo per stringere alcune mani, tra cui la mia.
I responsabili militari del press tour ci hanno guidato in luoghi fuori Doneck dove la macchina della ricostruzione (se non dell’edificazione ex novo) russa sta lavorando alacremente: strutture sanitarie e scolastiche a Volnovakha, sulla direttrice Doneck-Mariupol, prima situata poco lontano dalla linea di contatto tra forze ucraine e separatiste e che, con l’appoggio russo, è stata conquistata della Repubblica Popolare di Doneck ad un duro prezzo di devastazione, al punto da essere considerata “città fantasma” o, secondo il cinico commento del ministro della Difesa di Kyïv, Oleksij Jurijovyč Reznikov (L’viv, 18 giugno 1966), “città che non esiste più”.
Un segno di speranza è la consegna alla scuola elementare della cittadina distrutta di zainetti e libri di testo per gli scolari in vista del nuovo anno scolastico.
A Mariupol’, “città martire”
L’abile autista del pullman con giornalisti ed operatori ha percorso le strade, spesso gravemente dissestate, di quelle zone del Donbass a forte velocità, zigzagando ai molti checkpoint dietro ai veicoli di scorta militari che aprivano il convoglio in diritto assoluto di precedenza, con colonna chiusa dietro da almeno altri due automezzi con soldati, uno dei quali con mitragliatrice piazzata.
Lasciata Volnovakha abbiamo raggiunto Mariupol’, dalla fine di maggio scorso inclusa de facto nella Repubblica Popolare di Doneck al termine di circa tre mesi di accaniti combattimenti tra filorussi e russi ed unità dell’esercito ucraino e del Reggimento “Azov” (dal 2014 al 2015 Battaglione “Azov” inquadrato nella Guardia Nazionale dell’Ucraina, poi, dal gennaio 2015, ufficialmente Distaccamento Autonomo Operazioni Speciali “Azov”).
I superstiti del reggimento si sono arresi e fatti prigionieri di guerra tra il 16 ed il 20 maggio 2022, dopo essersi trincerati (vigliaccamente assieme a civili ipotizzati “scudi umani”) all’interno dell’acciaieria “Azovstal’” (vasto impianto metallurgico denominato, più esattamente, Metalurhijnyj Kombinat Azovstal’ e, in ambito internazionale, Azovstal Iron & Steel Works).
Palesemente di tendenza neonazista (sia per simboli adottati che per tattiche applicate nella connivenza malavitosa di Kyïv), il reggimento è stato accusato, tra il 2014 ed il 2016, di crimini di guerra e tortura dall’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa), dall’Alto Commissariato ONU per i Diritti Umani, da Human Rights Watch e da altre organizzazioni similari. L’ipocrita cambio di mentalità da “tifoseria occidentale” di vari media, esclusivamente pro Ucraina comunque, ha, per certi versi, “giustificato” e “glorificato” questi “combattenti ultra estremisti di Stato” che si rifanno ad ideologie, supremazie e metodi bollati da giudizio e civiltà.
Percorrere gli ampi viali di Mariupol con le rovine e le distruzioni ai lati ha lasciato sgomenti, senza parole se non quelle, pronunciate dentro, di condanna dell’inguaribile indole dell’homo (cosiddetto) sapiens ad accanirsi sul proprio simile, finendo in una reciproca follia.
Video e foto testimoniano lo scempio perpetrato alla città sulla costa settentrionale del mar d’Azov, alla foce del fiume Kal’mius (che attraversa in precedenza anche Doneck). Obiettivi civili nei mirini militari, russi od ucraini che possano essere stati.
Le zone di Mariupol attraversate mostrano tragicamente lunghe teorie di palazzi sventrati da missili o colpi d’artiglieria ma non rivelano quella sorta di spianamento totale, di ground zero ripreso da droni e fatto vedere più e più volte da emittenti televisive occidentali. Dove erano state registrate, allora, quelle sconvolgenti riprese divulgate come acqua santa? In qualche diversa parte della città? Oppure… altrove?
Dubbi a parte, il convoglio s’è fermato nei pressi d’un largo spiazzo davanti ad un’ennesima serie di blocchi abitativi devastati dalla furia bellica.
In quell’ampia area sono stati realizzati dai russi, a tempo di record, complessi residenziali con tanto di spazi verdi e palestre all’aperto destinati (così hanno riferito) agli sfollati superstiti delle case inagibili di fronte.
La forza lavoro per il poderoso sforzo è venuta da Paesi della Federazione Russa, da suoi satelliti (a suo tempo inglobati nell’ex Unione Sovietica) e perfino dalla Corea del Nord.
Le diverse spiegazioni della “Z”
Ci siamo allontanati da Mariupol osservando con perdurante angoscia gli ultimi fabbricati semidistrutti, incrociando spesso mezzi di trasporto militari contrassegnati, come altrove, dalla “Z” maiuscola sulla parte anteriore o sulle fiancate.
L’interpretazione del segno grafico diventato un simbolo, scritto anche dentro un quadrato con vernice o gessetto od utilizzando pezzi di nastro adesivo bianco, è controversa. Ha la forma della lettera latina “Z” e non di quella dell’alfabeto cirillico “З” (Ze).
Quando apparvero sulla scena dell’“Operazione Speciale di demilitarizzazione e denazificazione” (chiamata poi, appunto, anche “Operazione Z”) di Putin camion e blindati con la “Z”, molti scambiarono il tratto per il numero 2 scarabocchiato velocemente e non per una lettera.
Sono emerse ulteriori ipotesi per la “Z”. Sarebbe usata frequentemente in unità militari russe per farsi riconoscere in caso di battaglia. Potrebbe far riferimento a contingenti d’invasione e servirebbe a non cadere vittime del “fuoco amico” (soprattutto di separatisti del Donbass), anche se difficilmente visibile da un aereo ma identificabile da un elicottero.
O rappresenterebbe un segnale di riconoscimento tra russi ed ucraini che adottano stessi mezzi militari (spiegazione molto blanda che consentirebbe a forze ucraine, applicando il trucco, d’ingannare quelle russe e viceversa).
Le supposizioni fioccano.
La “Z” servirebbe ai soldati russi a comprendere dov’è diretto l’automezzo che la mostra.
La lettera (apposta poco prima d’un attacco per non far trapelare l’intenzione al nemico) costituirebbe un “timbro” di riconoscimento e d’orientamento tra le forze della stessa coalizione.
Ma pure qui il discorso non quadra, dato che ho visto (e fotografato) autoveicoli russi con la “Z” nella nostra scorta ed altrove, fermi per cavoli non bellici od in funzioni di routine.
Altri, più drastici, fanno riferimento alla “Z” iniziale di Zelens’kyj, presidente dell’Ucraina, obiettivo russo.
Ulteriori alternative sarebbero: “Zadača budet vypolnena” (“Il compito sarà completato”), “Za mir” (“Per la pace”), “Za pravdu” (“Per la verità”).
Ma, forse, le congetture più attinenti interpreterebbero la fatidica “Z” come iniziale di “Za pobedu” (“Per la vittoria”) o di “Zapad” (“Ovest”), direzione di marcia dell’offensiva russa all’Ucraina che include il riferimento generale all’Occidente ostile.
Del resto, la “Z” non è l’unica lettera-emblema che distingue gli automezzi militari russi. Si ritrova anche la “V” che starebbe per “Sila v pravde” (“Il potere – La nostra forza – sta nella verità”) o per “Vostok” (“Est”).
Secondo versioni di strategia militare, i diversi segni dei veicoli russi destinati all’invasione russa corrisponderebbero a diverse aree dell’Ucraina: “V” e “O” nei fronti settentrionale ed in prossimità di Kyïv, “Z” in un riquadro su quello di Charkiv/Char’kov e “Z” nel Donbass e nell’Ucraina sud-orientale in genere.
2 – Ucraina sud-orientale. Dove i separatisti e Putin ridisegnano i confini
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