Uno scenario attualmente incerto per l’aumento dei costi di produzione lungo la filiera lattiero casearia, per le incognite della guerra in Ucraina e per le conseguenze che un’economia non così brillante su scala mondiale potrebbero riverberare sui consumi alimentari, ma con l’ottimismo nei confronti di un comparto nel suo complesso vitale, nonostante la fase congiunturale «estremamente prudente», ma che con il Covid ha capito qual è il ruolo degli alimenti lattiero caseari sul piano della nutrizione equilibrata.
I mercati, trascinati da una domanda superiore all’offerta, dovrebbero mantenersi su valori sostenuti.
Lo spiega alla vigilia della Giornata Mondiale del Latte, che si celebra il prossimo 1° giugno,
Piercristiano Brazzale, presidente della Federazione Mondiale del Latte, in una lunga intervista
rilasciata all’Ufficio stampa della Fieragricola di Verona, rassegna internazionale in programma a
Veronafiere (30 gennaio – 3 febbraio 2024), nella quale indica la strada agli allevatori («sostenibilità,
efficienza e benessere animale», dice), sottolinea i progressi del sistema lattiero caseario in India,
dove si terrà il prossimo World Dairy Summit, e mette in guardia dai rischi della comparsa sui mercati
di nuovi prodotti, ottenuti con caseine e proteine di sintesi, nei confronti dei quali è necessaria una
strategia di comunicazione chiara, a tutela dei consumatori.
L’intervista completa
Presidente Brazzale, qual è la situazione attuale nel sistema latte a livello mondiale?
«In questo momento la situazione è abbastanza in equilibrio, ma i segnali sono quelli di una tendenza
alla riduzione della produzione, dovuta all’incremento di costi e alla difficoltà degli allevatori di
continuare l’attività. I costi alimentari e di gestione delle stalle si stanno facendo sentire. La
tendenza, in sintesi, è quella di un incremento alla produzione ben inferiore rispetto alla domanda.
Bisogna riconoscere che, stante la complessità della situazione attuale, è difficile dare previsioni
sicure, anche dal punto di vista della domanda».
In che senso?
«Sicuramente ci sarà anche un effetto legato alla domanda, dovuta principalmente alle difficoltà
legate alla guerra in corso in Ucraina. Uno scenario di insicurezza che ha ripercussioni sull’inflazione e
potrebbe in prospettiva averli sui consumi e che si va ad aggiungere ad altri fattori che potrebbero
contenere l’offerta. Penso ad esempio ai vincoli ambientali, che in alcuni casi si stanno facendo molto
pressanti, come in Nuova Zelanda, dove l’attenzione alla sostenibilità porterà a una riduzione del
numero dei capi. Anche i Paesi Bassi hanno adottato politiche rivolte a ridurre il carico zootecnico».
Quali saranno gli effetti sui prezzi?
«Anche questo è difficile dirlo. Sicuramente abbiamo raggiunto un plateau di prezzi mai visto
precedentemente.
Il prezzo medio mondiale IFCN si attesta sui 58-60 dollari ed è molto probabile che la fiammata dell’incremento dei costi di produzione, che supporta i prezzi di mercato duri almeno per
tutto il medio periodo e non sia limitata al breve periodo.
I cicli di produzione di foraggi e granaglie sono annuali e si protrarranno per i prossimi mesi su livelli
alti.
Poi un altro fattore regolerà la reattività del mercato ed è legato alla posizione dei consumatori:
quanto saranno disposti a spendere? Il calo dei consumi orienterà inevitabilmente i prezzi e farà da
calmiere sull’incremento del prezzo di vendita del latte».
Quanto pesa questa situazione sulla trasformazione?
«Abbiamo parlato dei costi per gli allevatori, della situazione dei consumatori, ma non dobbiamo
dimenticare che fra l’incudine e il martello c’è il mondo della trasformazione, cioè l’industria e la
cooperazione, perché fanno fatica a trasferire a valle i maggiori costi di produzione della materia
prima, della plastica, del packaging, dell’energia, dell’acciaio e della logistica.
Complessivamente, mi sento di dire che è una situazione difficilmente prevedibile, anche se sembra
abbastanza acclarato che in futuro ci assesteremo su prezzi medi e costi medi superiori a quelli del
passato».
Che impatto hanno avuto la guerra e l’incremento dei costi?
Hanno rallentato o modificato gli investimenti delle imprese del settore?
«Non ho un riscontro preciso, ma in giro, a livello mondiale, c’è timore a investire e quindi stiamo
assistendo a una riduzione degli investimenti per scarsa fiducia o per non chiare prospettive.
Gli operatori se lo chiedono: quando finirà la guerra? Come finirà? Che effetto avrà?
Sicuramente tale scenario è un freno agli investimenti a tutti i livelli, dall’azienda agricola alla
trasformazione. Si propende per l’attesa e credo che sia normale per un imprenditore avveduto
essere molto prudente i questa fase».
Come sono cambiati i mercati e i consumi col Covid e con la guerra?
«Mi permetta una fuga in avanti: io non sarei così pessimista sulle prospettive dei consumi, al di là
della contingenza dell’incremento di costi».
Si spieghi.
«Il Covid ha portato a un brusco rallentamento dei mercati, dovuto alla chiusura del food service e
alla circolazione a singhiozzo delle merci; ma poi c’è stata una rapida e importante ripresa,
accompagnata da una percezione diversa e più matura del consumatore verso i prodotti lattiero
caseari. Ci siamo trovati di fronte un consumatore molto più conscio del ruolo dei prodotti lattiero
caseari in una dieta equilibrata.
Il Covid stesso ha spinto l’attenzione sul ruolo dei prodotti lattiero caseari anche in chiave di
sostegno al sistema immunitario di chi li consuma.
Sono cambiate molte delle linee guida di diversi Stati e della stessa Fao, che sostengono l’importanza dei prodotti lattiero caseari.
Anche la Cina, nel sistema a pagoda che è l’equivalente della nostra piramide alimentare, nelle linee guida del 2022 è passata da un’indicazione di consumo di prodotti lattiero caseari pari a 2-300 grammi al giorno alla raccomandazione di assumerne quotidianamente dai 300 ai 500 grammi. Per cui, sottolineerei questo aspetto sui consumi: abbiamo registrato un incremento in senso generale e in proiezione penso che avrà un effetto traino particolarmente positivo».
Il World Dairy Summit lo farete in India, che è il principale produttore di latte al mondo.
Come pensa evolverà il mercato indiano nei prossimi anni e quale impatto potrà avere a livello globale?
«Sono stato dieci giorni fa in India ed è stato un viaggio molto istruttivo. Ho avuto modo di vedere da
vicino una realtà straordinaria, ho visitato nello Stato del Gujarat alcuni stabilimenti di Amul e altri
insediamenti produttivi del National Dairy Development Board, di proprietà dello Stato indiano.
Hanno varato un programma statale con la realizzazione dell’anagrafe bovina e l’implementazione di
un sistema capillare di assistenza lungo l’intera filiera lattiero casearia, con lo scopo di raddoppiare la
produzione di latte nei prossimi cinque anni. Parliamo di grandi numeri, se pensiamo che oggi la
produzione è di circa 90-100 milioni di tonnellate di latte vaccino e di 90 milioni di tonnellate di latte
bufalino.
È sicuramente un obiettivo ambizioso, ma devo riconoscere che ho visto un comparto molto
dinamico e intraprendente, che può contare su un’ossatura di 300 milioni di agricoltori e allevatori,
con una dimensione media per famiglia agricola di 2-4 vacche da latte e una potenzialità di crescita
produttiva molto solida».
L’India punta dunque ad esportare latte e derivati, dopo anni di fatto di equilibrio e autosufficienza sul mercato domestico.
Quale pensa potrà essere l’effetto sul mercato mondiale?
«I Paesi target saranno quelli del Sud Est Asiatico, cercando di andare ad erodere gli spazi di mercato
oggi prevalentemente in mano all’Oceania. Ritengo, inoltre, alla luce della situazione geopolitica
attuale, che l’India con i propri prodotti lattiero caseari potrà diventare un partner strategico per la
Russia.
È un comparto in forte sviluppo, dove si sta investendo molto in tecnologie e soluzioni per
incrementare le produzioni. Sono molto ben organizzati, anche sul piano dei controlli sulla qualità
delle produzioni, come ad esempio nel dialogo immediato via cellulare con i veterinari, con sistemi di
controllo capillari tramite apposite applicazioni sul telefono cellulare degli allevatori e pagamenti a
sostegno delle piccole realtà allevatoriali molto veloci.
Inoltre, hanno il latte nel Dna. Vedremo se riusciranno a rispettare il piano quinquennale di crescita che si sono prefissati, ma chi pensa di trovarsi di fronte una realtà tecnologicamente o culturalmente arretrata, si sbaglia».
L’ingresso a livello mondiale di un big player come l’India, che ripercussioni potrebbe avere per l’Italia o, più in generale, per l’Unione europea?
«Francamente più che l’impatto che potrà avere sul mercato un grande produttore come l’India, che
ha già mostrato l’intenzione di operare in un’area circoscritta come il Sud Est Asiatico e, in
proiezione, il Medio Oriente, mi preoccupano gli effetti che potrebbe avere sul mercato la diffusione
di prodotti sostitutivi dei derivati del latte ottenuti da fermentazione, come la caseina da
fermentazione o il lattosio ottenuto dalla fermentazione.
Molte aziende stanno investendo in questo mercato, cercando di ottenere prodotti di sintesi, simili alla mozzarella o alla ricotta, ma che non sono riconducibili al sistema lattiero caseario vero e proprio e che, miscelando insieme ingredienti che non hanno origine animale, si dichiarano sostenibili».
Come si ottengono?
«Sono ottenuti tramite un processo di fermentazione, utilizzando dei tank all’interno dei quali viene
messo un brodo di alimentazione con zuccheri da mais, vitamine, sali minerali, per far crescere muffe
o lieviti o batteri, che sono di fatto tutti geneticamente modificati e che producono caseina pura o
lattosio puro poi isolati attraverso processi di centrifugazione.
Ci troviamo di fronte a prodotti alternativi, sui quali si concentrano milioni di dollari da parte di
aziende anche farmaceutiche, dalla California alla Danimarca, che utilizzano una miscela derivata da
proteine del latte “cow-free”, cioè un paradosso, perché definiscono latte ciò che latte non è, ma si
tratta di prodotti di sintesi, dei quali dal punto di vista nutrizionale si sa niente o pochissimo, non
ancora classificati dal Codex Alimentarius, anche se è evidente che non possano definirsi proteine del
latte “cow-free”.
Sfruttano claim legati alla sostenibilità, al rispetto del benessere animale in quanto gli animali stessi
di fatto vengono a mancare, ma lasciano aperte moltissime incognite, anche dal punto di vista
nutrizionale».
Cioè?
«Sono prodotti che si limitano a mettere insieme caseina, due o tre grassi e pochi altri ingredienti e
fanno, ad esempio, una sorta di mozzarella, ma niente può sostituire i più di 400 acidi grassi, decine e
decine di proteine ad alto valore biologico del vero latte.
La struttura non è replicabile dal punto di vista molecolare rispetto a una mozzarella vera, e non sappiamo quali possano essere gli effetti nutritivi e metabolici».
Si trovano già sul mercato?
«Per adesso sono commercializzabili solo negli Stati Uniti e a Singapore. Fino a poco tempo fa
costavano più del doppio rispetto ai tradizionali prodotti lattiero caseari, ma forse bisognerebbe dire
rispetto ai veri prodotti lattiero caseari».
Che cosa potete fare?
«Dovremo essere molto bravi e soprattutto veloci a spiegare qual è il valore socio economico e
nutrizionale della filiera lattiero casearia e dei prodotti relativi, far vedere che questi prodotti
alternativi non hanno lo stesso valore nutrizionale e che il loro impatto ambientale non è vero che
siano così basso, se si considera tutto il loro ciclo di produzione. Rischieremmo di far passare
messaggi che confondono i consumatori e danneggiano un settore cruciale per l’economia e
necessario per la corretta alimentazione come appunto il comparto lattiero caseario».
Quale messaggio vuole lanciare come presidente della Federazione Mondiale del Latte, agli allevatori?
«Parlo a livello mondiale e dico di essere fiduciosi, perché sicuramente il latte e ha un ottimo futuro a
livello planetario. Tutte le previsioni indicano nei prossimi anni un incremento costante dei consumi
dei prodotti lattiero caseari e nei prossimi mesi, assistendo a un incremento della domanda su livelli
superiori all’offerta, potremo contare su quotazioni di mercato sostenute».
Come immagina il settore lattiero caseario e la zootecnia fra 10 anni?
«Lo immagino più efficiente, sostenibile e ancora più rispettoso del benessere animale, per andare
incontro alle richieste dei consumatori. Lo vedo ancora prospero e in sviluppo, purché si sappia
applicare la lezione di ciò che sta accadendo oggi in maniera chiara: dovremo incrementare
l’efficienza lungo tutta la filiera, con l’obiettivo di avere prodotti sani, affidabili e sostenibili, nel pieno
rispetto delle norme ambientali e di animal welfare.
Questo è ciò che ci chiede il consumatore ed è quello che come filiera dovremo assicurare, basandoci
su indicazioni tecnico scientifiche che anche noi come IDF raccomandiamo»