Verona, 18 maggio 2024 – Circa 10 ore d’un intenso programma di incontri su preminenti aspetti della Chiesa e della società, con braccia spalancate nell’invocare pace e giustizia. L’incontro pastorale di papa Francesco (al secolo Jorge Mario Bergoglio, Buenos Aires, Argentina, 17 dicembre 1936) con Verona, iniziato con la partenza in elicottero dal Vaticano alle 6.30 e l’arrivo alle 8 nell’antistadio del “Bentegodi”, ha riassunto attesa, comunità, emozione, entusiasmo, speranza.
Accolto all’arrivo dal vescovo mons. Domenico Pompili, dal presidente della Camera dei deputati Lorenzo Fontana, dal presidente della Regione Veneto Luca Zaia, dal sindaco Damiano Tommasi e dal prefetto Demetrio Martino, il pontefice, protetto per tutto il tempo da un consistente e severo sistema di sicurezza, s’è poi recato nella basilica di San Zeno (dalla piazza affollata di genitori, ragazzi e bambini) per ricevere l’abbraccio di sacerdoti e consacrati e per pronunciare il suo primo discorso pubblico nella città scaligera.
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Almeno due cose sulle quali vorrei soffermarmi con voi: la prima è la chiamata, la chiamata ricevuta e sempre da accogliere; e la seconda è la missione, da compiere con audacia. Anzitutto, accogliere la chiamata ricevuta.
All’origine della vita cristiana c’è l’esperienza dell’incontro con il Signore, che non dipende dai nostri meriti o dal nostro impegno, ma dall’amore con cui Lui ci viene a cercare, bussando alla porta del nostro cuore e invitandoci a una relazione con Lui.
Cerchiamo di non perdere mai lo stupore della chiamata! Esso si alimenta con la memoria del dono ricevuto per grazia, memoria da tenere sempre viva in noi.
anche noi, in mezzo alle sfide complesse del nostro tempo, siamo chiamati a coltivare l’atteggiamento interiore dell’attesa, della pazienza, così come la capacità di affrontare gli imprevisti, i cambiamenti, i rischi connessi alla nostra missione. Ma possiamo farlo perché all’origine del nostro ministero c’è la sua chiamata, e Lui non ci lascerà soli.
Quando è ben radicata in noi questa esperienza, allora possiamo essere audaci nella missione da compiere.
L’audacia è un dono che questa Chiesa conosce bene. Se c’è infatti una caratteristica dei preti e dei religiosi veronesi, è proprio quella di essere intraprendenti, creativi, capaci di incarnare la profezia del Vangelo.
Si tratta di una intraprendenza che ha segnato la vostra storia: basti pensare all’impronta lasciata da tanti sacerdoti, religiosi e laici nell’Ottocento, che oggi possiamo venerare come Santi e Beati. Testimoni della fede che hanno saputo unire l’annuncio della Parola con il servizio generoso e compassionevole dei bisognosi, con una “creatività sociale” che ha portato alla nascita di scuole di formazione, di ospedali, case di cura, case di accoglienza e luoghi di spiritualità.
Molti di questi Santi e Sante erano tra loro contemporanei e, immersi nella storia turbolenta del loro tempo, attraverso la fantasia della carità animata dallo Spirito Santo, riuscirono a creare una specie di “santa fratellanza”, capace di andare incontro ai bisogni dei più emarginati e dei più poveri e di prendersi cura delle loro ferite. Una fede che si è tradotta nell’audacia della missione.
L’audacia di una fede operosa nella carità, voi l’avete ereditata dalla vostra storia.
Questo auguro a voi e alle vostre comunità: una “santità capace”, una fede viva che con carità audace semini il Regno di Dio in ogni situazione della vita quotidiana. E se il genio di Shakespeare si è fatto ispirare dalla bellezza di questo luogo per raccontarci le vicende tormentate di due innamorati, ostacolati dall’odio delle rispettive famiglie, noi cristiani, ispirati dal Vangelo, impegniamoci a seminare ovunque un amore più forte dell’odio e della morte.
Uscito dalla chiesa romanica sull’ormai abituale carrozzina di cui si serve anche per brevi spostamenti, papa Francesco, accomodato su una poltrona bianca, ha amabilmente dialogato con bambini che gli rivolgevano domande, coinvolgendo in un botta e risposta tutti i piccoli davanti, in festosa e colorata attenzione alle sue parole.
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Dopo aver percorso il tratto centrale transennato della piazza per stringere mani, il Santo Padre ha raggiunto piazza Bra, tra acclamazioni ed applausi della gente al suo passaggio. Quindi, è entrato nell’anfiteatro romano per il secondo importante evento, l’“Arena di pace 2024 – Giustizia e Pace si baceranno”, con più di diecimila persone ad attenderlo ed il conduttore Amadeus (pseudonimo di Amedeo Umberto Rita Sebastiani, Ravenna, 4 settembre 1962) ad accoglierlo.
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Un appuntamento che ha riunito ancora una volta associazioni sensibili e movimenti attivi su tematiche scottanti quali le migrazioni, l’ambiente, il lavoro, l’economia, la democrazia, i diritti, il disarmo, con attenzione non secondaria a quanto di drammatico sta avvenendo in Ucraina e nel medio oriente.
Oltre a mons. Pompili, accanto al papa si sono sedute due figure simbolo della ricerca d’una giustizia solidale: il comboniano padre Alessandro (Alex) Zanotelli (Livo, Trento, 26 agosto 1938) e don Luigi Ciotti (anche Pio, Pieve di Cadore, Belluno, 10 settembre 1945).
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In Arena sono state appese molte bandiere della pace, una dell’Ucraina e nessuna della Palestina, oltre a striscioni con slogans (“Smilitarizziamo mente e territorio”, “Fuori la guerra dalla storia” ecc.). Ligabue (Luciano Riccardo, Correggio, Reggio Emilia, 13 marzo 1960), a sua volta, ha dato man forte alla manifestazione cantando “Non so quanto tempo rimane”.
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Sua Santità ha risposto a questioni emerse in tavoli di discussione (Migrazioni, Lavoro ed economia, Ambiente/Creato, Disarmo, Democrazia Diritti) e poste da coppie di interlocutori (Elda Baggio di Medici senza frontiere e João Pedro Stédile del Movimento dei senza terra in Brasile, Annamaria Panarotto delle Mamme No-Pfas di Vicenza e Vanessa Nakate dell’Uganda, Andrea Riccardi della Comunità di Sant’Egidio e Sergio Paronetto di Pax Christi, Mahbouba Seraj da Kabul (Afghanistan) e Giulia Venia del gruppo di lavoro su Democrazia Diritti).
Il momento più significativo e toccante è stato l’intervento sul palco, l’uno accanto all’altro, dell’israeliano Maoz Inon (dai genitori assassinati da Hamas il 7 ottobre 2023) e del palestinese Aziz Sarah (al quale l’esercito israeliano ha ucciso il fratello), testimoni della volontà d’annientare l’odio per saldare amicizia e collaborazione nel nome della pace. L’abbraccio a tre col papa ha suggellato un’illusione diventata realtà, dal disprezzo alla fratellanza. Il lungo applauso in piedi dei presenti ha sancito il fatto che si può, si deve cambiare.
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Dopo l’appello-video di mamme ebree e palestinesi, papa Bergoglio ha concluso:
Il mondo ha bisogno di guardare alle donne per trovare la pace. Le testimonianze di queste coraggiose costruttrici di ponti fra israeliani e palestinesi ce lo confermano.
Sono sempre più convinto che «il futuro dell’umanità non è solo nelle mani dei grandi leader, delle grandi potenze e delle élite. È soprattutto nelle mani dei popoli; nella loro capacità di organizzarsi e anche nelle loro mani che irrigano, con umiltà e convinzione, questo processo di cambiamento» (Discorso al II Incontro mondiale dei movimenti popolari, Santa Cruz de la Sierra, 9 luglio 2015).
Voi, però, tessitrici e tessitori di dialogo in Terra Santa, chiedete ai leader mondiali di ascoltare la vostra voce, di coinvolgervi nei processi negoziali, perché gli accordi nascano dalla realtà e non da ideologie: le ideologie non hanno piedi per camminare, non hanno mani per curare le ferite, non hanno occhi per vedere le sofferenze dell’altro.
La pace si fa con i piedi, le mani e gli occhi dei popoli coinvolti. La pace non sarà mai frutto della diffidenza, dei muri, delle armi puntate gli uni contro gli altri. Dice San Paolo: «Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato» (Gal 6,7). Non seminiamo morte, distruzione, paura. Seminiamo speranza!
È quello che state facendo anche voi, in questa Arena di Pace. Non smettete. Non scoraggiatevi. Non diventate spettatori della guerra cosiddetta “inevitabile”. Come diceva il vescovo Tonino Bello: “In piedi costruttori di pace!”.
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Lasciata l’Arena e la sua calda atmosfera (non solo per la bella giornata di sole), il papa ha raggiunto la Casa circondariale di Montorio dove l’hanno aspettato la direttrice, Francesca Gioieni, il direttore della polizia penitenziaria, Mario Piramide, agenti di custodia, personale amministrativo, operatori sanitari, educatori, volontari e, non ultimi, detenuti con i quali, dopo gli scambi di interventi, s’è intrattenuto a pranzo.
Le riflessioni qui espresse dal pontefice sono di vicinanza e d’incoraggiamento.
Per me entrare in un carcere è sempre un momento importante, perché il carcere è un luogo di grande umanità. Di umanità provata, talvolta affaticata da difficoltà, sensi di colpa, giudizi, incomprensioni e sofferenze, ma nello stesso tempo carica di forza, di desiderio di perdono, di voglia di riscatto.
E in questa umanità, qui, in tutti voi, in tutti noi, è presente oggi il volto di Cristo, il volto del Dio della misericordia e del perdono. Conosciamo la situazione delle carceri, spesso sovraffollate, con conseguenti tensioni e fatiche. Per questo voglio dirvi che vi sono vicino, e rinnovo l’appello, specialmente a quanti possono agire in questo ambito, affinché si continui a lavorare per il miglioramento della vita carceraria.
Seguendo le cronache del vostro istituto, con dolore ho appreso che purtroppo qui, recentemente, alcune persone, in un gesto estremo, hanno rinunciato a vivere. È un atto terribile, questo, a cui solo una disperazione e un dolore insostenibili possono portare. Perciò, mentre mi unisco nella preghiera alle famiglie e a tutti voi, voglio invitarvi a non cedere allo sconforto. La vita è sempre degna di essere vissuta, e c’è sempre speranza per il futuro, anche quando tutto sembra spegnersi.
La nostra esistenza, quella di ciascuno di noi, è importante, è un dono unico per noi e per gli altri, per tutti, e soprattutto per Dio, che mai ci abbandona, e che anzi sa ascoltare, gioire e piangere con noi. Con Lui al nostro fianco, possiamo vincere la disperazione, e vivere ogni istante come il tempo opportuno per ricominciare.
Perciò, nei momenti peggiori, non chiudiamoci in noi stessi: parliamo a Dio del nostro dolore e aiutiamoci a vicenda a portarlo, tra compagni di cammino e con le persone buone che ci troviamo al fianco. Non è debolezza chiedere aiuto: facciamolo con umiltà e fiducia. Tutti abbiamo bisogno gli uni degli altri, e tutti abbiamo diritto a sperare, al di là di ogni storia e di ogni errore o fallimento.
Tra pochi mesi inizierà l’Anno Santo: un anno di conversione, di rinnovamento e di liberazione per tutta la Chiesa; un anno di misericordia, in cui deporre la zavorra del passato e rinnovare lo slancio verso il futuro; in cui celebrare la possibilità di un cambiamento, per essere e, dove necessario, tornare ad essere veramente noi stessi, donando il meglio. Sia anche questo un segno che ci aiuti a rialzarci e a riprendere in mano, con fiducia, ogni giorno, la nostra vita.
Cari amici e amiche, grazie per questo incontro. Continuiamo a camminare insieme, perché l’amore ci unisce al di là di ogni tipo di distanza. Vi ricordo nella mia preghiera e, vi chiedo, per favore, di pregare anche voi per me.
Da Montorio allo stadio “Bentegodi”, da ore già con i suoi 31mila in fervida attesa del “loro” papa, ore trascorse ballando, cantando ed inscenando continue ola, la classica “onda” da spettatori elettrizzati.
Il capo della Chiesa ha concelebrato la funzione religiosa assieme a mons. Pompili, ai vescovi del Triveneto, al vescovo di Mantova Gianmarco Busca, ai sacerdoti della diocesi ed a due cardinali d’origine veronese: il prefetto del Dicastero per le Chiese orientali Claudio Gugerotti (Verona, 7 ottobre 1955) ed il nunzio apostolico in Siria Mario Zenari (Villafranca di Verona, 5 gennaio 1946). I canti che hanno completato la messa sono stati intonati dalla Cappella Musicale della Cattedrale formata da 60 cantori, con l’accompagnamento de L’Appassionata Orchestra (con archi, legni, ottoni e timpani) e del coro guida diocesano formato, per la circostanza, da ben 1.500 coristi.
Al termine del rito, papa Francesco ha donato un calice alla Chiesa veronese quale ricordo della sua venuta. Ed alle 17.42 (con un’ora circa di ritardo rispetto al piano ufficiale), ha decollato in elicottero dal vicino antistadio, seguito con lo sguardo da centinaia di persone, per atterrare infine all’eliporto del Vaticano alle 19.12. Lasciando Verona a bearsi per il suo giorno diventato storia…
Servizio, foto e video di Claudio Beccalossi