“La violenza di genere è un crimine odioso che trova il proprio humus nella discriminazione, nella negazione della ragione e del rispetto. Una problematica di civiltà che, prima ancora di un’azione di polizia, richiede una crescita culturale. E’ una tematica complessa che rimanda ad un impegno corale. Gli esperti parlano di approccio olistico, capace di coinvolgere tutti gli attori sociali, dalle Istituzioni, alla scuola, alla famiglia”. Con queste parole del Capo della Polizia, Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, Franco Gabrielli, si apre la pubblicazione realizzata dalla Direzione centrale della polizia criminale in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne del 25 novembre.
L’obiettivo è quella di fornire un’analisi specifica dei dati disponibili provenienti da tutte le forze di polizia perché “ogni strategia complessa, che risente peraltro di retaggi culturali completamente superati, di stereotipi e pregiudizi, deve fondarsi su di un’approfondita conoscenza delle problematiche, basata su di un solido patrimonio informativo”, sottolinea Vittorio Rizzi, alla guida della Direzione centrale della polizia criminale che ha preparato la pubblicazione.
I dati sono anzitutto quelli relativi ad un primo bilancio ad un anno dall’entrata in vigore, avvenuta il 9 agosto 2019, del cosiddetto “Codice Rosso”, legge 19 luglio 2019, n.69, che ha introdotto nuovi reati e ha perfezionato i meccanismi di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere.
Dei quattro delitti di nuova introduzione, quello che ha fatto registrare più trasgressioni (1.741 dal 9 agosto 2019 all’8 agosto 2020), spesso sfociate in condotte violente nei confronti delle vittime, è la violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare (art. 282-bis cpp) o del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (282-ter cpp) o la misura precautelare dell’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare (ar. 384-bis cpp). Le regioni dove si sono registrate più violazioni sono la Sicilia, il Lazio ed il Piemonte.
11 reati in un anno relativi al delitto di costrizione o induzione al matrimonio (art. 558-bis cp), altra figura introdotta dalla legge 69/2019 e volta a contrastare il fenomeno dei cosiddetti matrimoni forzati e delle spose bambine: il 36% delle vittime è risultato minorenne.
Il reato di deformazioni dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso di nuova introduzione (art. 583-quinquies cp) prevede l’ergastolo se dal fatto consegua un omicidio. Dei 56 casi denunciati, il 76% hanno riguardato vittime di sesso maschile e gli autori sono al 92% uomini: segno che tali fattispecie si riferiscono ad ipotesi di reato prima inquadrate nel delitto di lesioni personali gravissime di cui all’art. 583, comma 2, n.4 (abrogato dalla l. 69/2019) e non riconducibili alle dinamiche uomo/donna.
Ultimo reato introdotto dalla l. 69/2019 è la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, cosiddetto revenge porn (art. 612-ter cp). Dei 718 reati denunciati, l’81% hanno riguardato vittime di sesso femminile (per l’83% maggiorenni e per l’89% italiane), episodi distribuiti nell’anno con un andamento altalenante e un picco nel mese di maggio con 86 fattispecie. La regione che registra più denunce è la Lombardia, seguita da Sicilia e Campania.
E così anche quest’anno, in occasione della “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”, la Polizia di Stato promuove la campagna di sensibilizzazione contro la violenza di genere intitolata “Questo non è amore”, nella piena consapevolezza che non è sufficiente agire solo dopo che il reato è stato consumato, ma è necessario intervenire prima, attraverso un’incisa opera di informazione e supporto.
Il progetto, ideato e promosso dalla Direzione Centrale Anticrimine del Dipartimento di Pubblica Sicurezza, ha l’obiettivo di superare gli stereotipi e i pregiudizi per diffondere una nuova cultura di genere e aiutare le vittime di violenza a vincere la paura, rompendo la fitta rete di isolamento e vergogna.
La campagna “Questo non è amore” avviata nel 2016, è diventata nel 2017 un’iniziativa permanente sviluppata dalle Questure, allo scopo di informare e, soprattutto, aiutare l’emersione delle situazioni di violenza, grazie ad un approccio attento e proattivo verso l’utente, offrendo alle vittime il contatto con personale specializzato.
Alla base di tale campagna risiede una domanda: cosa si aspetta una donna vittima di violenza?
Una donna vittima di violenza si aspetta sicuramente protezione e indagini che portino presto ad avere giustizia, ma non solo. Una donna che è vittima di violenza si sente sola, prova vergogna, ha paura di ritorsioni per sé stessa e per i propri figli, si crede colpevole, teme di non essere creduta, di essere giudicata. Il poliziotto a cui chiede aiuto deve saper rispondere al dolore di chi ha subito maltrattamenti e abusi, consapevole che il più delle volte l’aggressore è una persona a cui la donna è legata da vincoli affettivi. Non basta applicare la legge, ma è necessario assicurare alla donna accoglienza, informazioni e il sostegno necessari a sfuggire dalla condizione di soggezione emotiva e di isolamento psicologico che sta vivendo.
È proprio questo approccio, che va ad incidere sull’aspetto umano prima ancora che su quello giuridico, a spingere la Polizia di Stato a promuovere la campagna “Questo non è amore”, contro la violenza di genere. Le donne che subiscono atti di violenza hanno, così, un modo in più per parlarne e trovare aiuto.
Nell’attuale contesto di emergenza epidemiologica, la Polizia di Stato ha dato impulso ad una nuova importante iniziativa finalizzata alla gestione delle richieste di aiuto delle vittime di violenza, attraverso l’implementazione della APP della Polizia di Stato “YouPol”, con la quale i cittadini possono comunicare, anche in modo anonimo, con le Sale Operative delle Questure per segnalare situazioni di disagio e trasmettere messaggi e immagini.