L’illustre storia del complesso: dalle origini scaligere ai bombardamenti
della Seconda Guerra Mondiale, attraverso incisivi interventi veneziani ed austriaci –
Oltre che vescovi della Serenissima (forse), di certo vi transitarono
truppe austriache di dominazione ed italiane d’annessione al Regno d’Italia
La mole di Porta Vescovo (o Porta del Vescovo), uscio tra Veronetta e Borgo Venezia, ad est della città che guarda appunto verso Venezia, costituisce un contesto murario edificato dagli Scaligeri, rafforzato dai Veneziani e rinnovato dagli Austriaci. Elevata ad un solo piano, con attico e copertura a tetto, si trova tra il Bastione delle Maddalene e la Rondella di Santa Toscana, con una struttura originariamente quadrangolare ed un androne in cui s’immetteva il passaggio carraio al centro e quello pedonale ai lati.
Le origini della struttura risalgono al 1288, quando l’accesso fu fatto erigere da Alberto I della Scala (?, 1245? – Verona, 3 settembre 1301). Con l’avvento della Repubblica Serenissima, nel 1517 si optò per un riadeguamento delle mura affinché potessero resistere di più alle accresciute potenzialità belliche dei nuovi cannoni, con l’inizio degli specifici lavori nel 1520, sotto la sovrintendenza del comandante militare Teodoro Trivulzio, che inclusero la cura della stessa porta. Porta che fu ampliata e fornita dell’artistica facciata con fregi in pietra bianca levigata e decorata veronese, di ordine dorico, ispirata al modello romano dell’“arco trionfale” a cui attingevano gli architetti rinascimentali.
Il complesso, allora, si mostrava con un grande fòrnice (arco usato in edifici a carattere monumentale come passaggio o sostegno) centrale e due minori laterali. I tratti rinascimentali, con qualche “interferenza” sanmicheliana, sono tuttora constatabili sul fronte che dà su Borgo Venezia (dove appare l’anno di completamento dei lavori veneziani, il 1520), preservati pressoché integralmente (e con la replica del fòrnice centrale sui due lati in simmetria, torrette conclusive neoclassiche comprese). Verso l’interno cittadino i connotati appaiono neoclassici, con l’aggiunta di due corpi simmetrici, ad un unico piano, negli anni Quaranta e Cinquanta del XIX secolo per il corpo di guardia e le polveri da sparo. I tratti cinquecenteschi, qui, sono stati rimpiazzati da manufatti di tufo e laterizio d’ordine medioevale (Rundbogenstil, stileRundbogen), dotati di archetti pensili e torrette poligonali.





In epoca di parziale dominazione austriaca, il passaggio regolò il transito alla parte di Verona asburgica, dato che l’altra era nelle grinfie delle truppe napoleoniche. Infatti, nel 1801, con il Trattato di Lunéville, la città scaligera venne divisa in due, con il fiume Adige come “confine”. La riva sinistra andò agli austriaci mentre quella destra ai francesi, i quali iniziarono a denominare con fini dispregiativi la parte opposta come “Veronetta”, dal termine francese “Veronette”, toponimo ancora oggi in voga per identificare la particolare zona.
Dopo la riunificazione nel 1805 sotto il tallone francese, per effetto delle decisioni del Congresso di Vienna del 1815 e con il Regno Lombardo Veneto assegnato all’Impero austriaco, Verona divenne austriaca (con l’esercito di Vienna che entrò a Verona già il 4 febbraio 1814, marciando proprio attraverso Porta Vescovo, con una guarnigione di 1.800 soldati, dei quali un terzo di cavalleria, dopo che i francesi fecero fagotto dopo 17 anni d’altalenante possesso). La Porta del… “cambio di potere”, poi, trovò ammodernamento tra il 1862 ed il 1863, secondo il progetto dell’architetto Anton Naredi-Rainer von Harbach, capitano di II classe, in servizio alla Genie Direction di Verona. Porta Vescovo fu sviluppata collocandovi due ingressi laterali che ne agevolarono il percorso carrabile.
Assunta ad illustre esempio delle architetture militari veneziana ed austriaca a Verona, la porta ha un nome che deriva forse dal fatto che il Vescovo della città, all’epoca dei Comuni, possedeva certi diritti sui dazi delle merci che arrivavano varcando la specifica soglia. Oppure perché giusto da quest’apertura, durante il dominio della Serenissima, venivano in visita i vescovi o vi arrivavano da Venezia per insediarsi alla Cattedra di San Zeno. E proprio da qui, il fatidico 16 ottobre 1866, le truppe italiane entrarono a Verona annessa al Regno d’Italia dopo il ritiro austriaco a denti digrignanti.
Due lapidi apposte sul lato che s’affaccia su via XX Settembre (ripulite, sì, ma dai caratteri che necessiterebbero un’opera di restauro), ricordano la storica circostanza: “Redenta la Venezia assicurata l’italica unità fra l’esultanza popolare e la pompa di fraterna accoglienza il giorno XVI ottobre MDCCCLXVI per queste porte entrò l’Esercito nazionale” e “Il memorabile giorno XVI ottobre MDCCCLXVI ultimo dell’occupazione straniera primo di libertà questo Municipio volle eternato negli annali di Verona e d’Italia”.


Oltre che identificare un accesso urbano, il toponimo “Porta Vescovo” coinvolge anche gli sviluppi delle comunicazioni a largo raggio, in quanto negli immediati paraggi della stazione ferroviaria omonima (la prima sorta in città, Verona Porta Vescovo, inaugurata nel 1847), sull’asse Milano-Venezia. Fra il 1884 ed il 1951, inoltre, Porta Vescovo costituì il capolinea della rete tramviaria scaligera e dal 1881 al 1958 il terminal di tramvie extraurbane. La vicinanza con gli impianti ferroviari non fu sempre un fattore positivo dato che la porta finì per trovarsi coinvolta e danneggiata pesantemente dai bombardamenti alleati del Secondo conflitto mondiale che miravano ad interrompere la circolazione dei treni ed i rifornimenti.


Claudio Beccalossi