Riqualificato prima dal Fai, Fondo ambiente italiano ed ora tutelato dall’Associazione Amici del Lazzaretto, il complesso storico-ambientale d’incerta matrice sanmicheliana –
I tormentati trascorsi del luogo a ridosso del fiume Adige, indovinata location di eventi anche estivi
Per i ragazzini d’una volta, monelli frequentatori delle sue mura abbandonate, il Lazzaretto era chiamato comunemente in dialetto, el tempieto, “il tempietto”, per la sua struttura centrale con colonne e cupola. Sorge in una solitaria zona di Porto San Pancrazio accanto al fiume Adige, oltre la fine di via (appunto) Lazzaretto.
Quanto è risultato di sopravvissuto od è riaffiorato dalla gravosa opera di sradicamento della vegetazione infestante, di scavo e spostamento di terra e detriti, di scoprimento di mura e fondi prima celati, di rottami ferrosi antichi o vecchi (compresi frammenti di bombe e bossoli di proiettili), di bonifica da ordigni bellici inesplosi di vario calibro e dimensioni, ha trasformato capitoli di storia tumulati colpevolmente, per troppo tempo, in pagine di conoscenza a cielo aperto, purtroppo parziali d’un passato ben più consistente.
L’accordo tra il Comune di Verona ed il Fai
Con un atto plateale e dopo l’accordo firmato il 14 luglio 2014 dal sindaco di Verona, Flavio Tosi e dal direttore generale del Fai (Fondo ambiente italiano), Angelo Maramai (alla presenza del sottosegretario al ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo, Ilaria Borletti Buitoni), il 3 ottobre successivo il Comune scaligero ha consegnato al Fondo stesso il complesso architettonico e territoriale del Lazzaretto. Stando alla convenzione stipulata, il Fai, in collaborazione con il Comune di Verona, s’è impegnato per 18 anni a riqualificare dapprima ed a gestire e valorizzare poi la superficie storico-ambientale ridotta a “terra di nessuno e di tutti”, precipitata in “giri strani”, nel vandalismo e nell’incuria, anche per responsabilità istituzionali non secondarie.
Stranamente, nell’accordo e nei “lavori in corso” non è stata coinvolta per “atto dovuto” (e, forse, anche… naturale) la Soprintendenza per i beni ambientali ed architettonici. Infatti, le scavatrici che hanno affondato le loro pale meccaniche senza particolare riguardo apparente, rimettendo comunque in luce quanto sepolto (bombe comprese), si sono date da fare sotto l’occhio esclusivo e vigile d’un delegato del Fai, escludendo altre intromissioni.
Tutto ciò che è riemerso dal terreno (pavimentazioni a mattoni originarie, marmi e pietre lavorati, manufatti, cocci, lapidi spezzate, ferraglia in genere, schegge, chiodi arrugginiti ecc.) non ha trovato conservazione alla meglio per un eventuale studio o catalogazione ma lasciato (almeno nel 2015) semplicemente in disparte, incustodito o disseminato in superficie, alla mercé del primo che bazzicasse.
Settembre 2015: il Lazzaretto torna lentamente alla luce tramite il Fai



























L’incaricato del Fai presente alle procedure d’escavazione ha accennato a “sparizioni” notturne di qualche ordigno e di quant’altro reperiti durante il lavoro giornaliero e la domanda su chi e perché abbia avuto interesse per simili pericolosi aggeggi (da detenere in maniera illegale) è rimasto senza una qualsiasi risposta…
Finito nelle mani del Fondo in quanto “posto della memoria” per asseriti sentimenti d’attaccamento espressi da veronesi di ieri e di oggi (ma allora perché è stato lasciato a lungo in un oltraggioso dimenticatoio?) che hanno voluto segnalarlo nel quinto e nel sesto censimento de “I luoghi del cuore”, promosso dal Fai in collaborazione con Banca Intesa Sanpaolo, perché non fosse cementificato e trovasse adeguata rivalutazione, il Lazzaretto ha trascorsi tormentati ed ubicazione nel suggestivo “polmone” naturalistico di un’ansa della riva destra dell’Adige.
La storia e la descrizione
Fu un progetto (completato post mortem?) dell’architetto ed urbanista Michele Sanmicheli (Verona, 1484, anno incerto – Verona, 1559), pur ricordando che qualche storico l’attribuì (anche solo per la rielaborazione) a Giangiacomo Sanguinetto, revisore dei conti presso l’ospedale di San Giacomo alla Tomba, che, nel giugno del 1548, propose un suo modello alle autorità preposte. Mancano, in ogni caso, documenti inconfutabili sulla paternità del Lazzaretto e l’incertezza è destinata ad aleggiare ancora per chissà quanto, forse per sempre.
L’edificazione fu avviata nel gennaio 1549 e portata a termine nel 1628 (mentre la costruzione del tempietto centrale trovò delibera nel 1602), quasi per un segno del destino dato che, tra il 1629 ed il 1633, si diffuse anche a Verona una grande epidemia di peste (la famigerata “peste manzoniana”) che coinvolse tragicamente ben 32.595 dei 53.333 abitanti censiti nel 1626. Solo 5mila appestati confluiti a bordo di barche trovarono accoglienza nel Lazzaretto e l’infausto periodo rappresentò l’apice della sua funzionalità alla quale seguì una lenta fase d’inarrestabile declino che nemmeno un intervento edilizio alle sue fondamenta nel 1742 riuscì a scongiurare.
Infatti, al finire del secolo, il suo primo carattere sanitario lasciò il posto al riciclaggio quale deposito di esplosivi. È significativa la descrizione del Lazzaretto “classico” che lo storico veronese conte Giambattista da Persico fece nel 1821.
“Gran cortile vi sta in mezzo con portici e stanze dai quattro lati, due maggiori, e due minori, quelli di arcate 51 e questi di 24. Mettono nel detto cortile quattro porte, ognuna alla metà circa di ogni lato; e nel minore a sera sta la porta del principale ingresso; un po’ elevato è il piano per meglio preservare dall’umido e dalle alluvioni le 152 stanze o celle, comprese le quattro più grandi che s’affacciavano sui lati a guisa di torri, le quali hanno un piano di sopra con le relative scale. Un secondo ordine di celle, pure a volta reale, avente ciascuna quanto occorre per abitarvi separatamente, sta di sopra di rincontro alle proprie arcate. Sopra il lato del principale ingresso si ha un altro ordine, compartito in 10 stanze al servigio del magistrato, e risponde alle cinque arcate del portico, mettendo ad esso due ordinate scale: in quattro parti uguali vien da muretti diviso il cortile per distinguere in tempi diversi le rispettive contumacie degli appestati. Ognuno dei quattro angoli del cortile ha il suo pozzo; e due ve ne stanno tra i muri che dividono il lato maggiore. Sopra tre ordini di gradini s’alza al centro del cortile un tempietto rotondo con doppio giro di colonne del nostro marmo, d’ordine toscano, differenti nell’altezza. Le colonne interne sostengono il timpano e la cupola del tempietto; le esterne forniscono il portico dattorno allo stesso, cupola e cupolini, quella coperta di piombo, questo sormontato dalla statua di S. Rocco, il gran protettore degli appestati. Nel centro del tempio v’ha l’altare a quattro facce, si ch’esso è in vista di tutti i malati; stando di rincontro ad ogni porta delle dette 152 celle”.
Dopo un periodo d’impiego quale magazzino di munizioni e polveri da sparo, il luogo tornò ad esercitare il suo ruolo primario tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, ricoverando soldati austriaci e francesi affetti da morbi contagiosi. Obblighi imposti da autorità militari rifecero capolino nel corso della dominazione austriaca, riadattando il complesso in deposito di armamenti secondo canoni che tennero duro attraverso le due guerre mondiali.
L’esplosione del 20 maggio 1945
Per fortuite coincidenze il Lazzaretto-Arsenale passò indenne tra i conflitti ed il primo dopoguerra, registrando, all’inizio del Novecento ed a parere di alcuni storici, solo la caduta della cupola del tempietto. I nazisti in ritirata a nord da Verona nel tardo 25 aprile 1945, pur avendolo pianificato, non fecero in tempo a distruggerlo come i ponti cittadini sull’Adige. Ci riuscirono parzialmente i fascisti, come annotò il giornalista Giuseppe Silvestri nel suo libro autobiografico “Albergo agli Scalzi”: “rotte a colpi di mitra le porte si introdussero nel Lazzaretto, e dando fuoco agli esplosivi, determinarono la rovina del lato orientale”.
L’estremo rifugio di appestati “travestito” da armamentario, evidentemente, voleva vendere cara la propria pelle ed il 20 maggio 1945 gran parte delle sue mura cedettero ad un’esplosione provocata da qualcuna delle tante persone che s’erano intrufolate dentro alla ricerca di qualcosa da utilizzare o da rivendere oppure occupate a far incetta di bossoli in ottone, togliendo le pallottole dai proiettili. Trovò la morte una trentina di persone e crollò la parte occidentale del Lazzaretto, lasciando sopravvivere a malapena le mura pericolanti ed il tempietto disastrato, rimesso parzialmente in sesto tra l’aprile ed il novembre 1958, in previsione delle celebrazioni dei 400 anni dalla scomparsa di Michele Sanmicheli.
Ma certo non bastava e gli abitanti più sensibili della borgata di Porto San Pancrazio, nel 1978, costituirono l’Associazione Pro Loco Lazzaretto per tutelare quanto rimaneva del nucleo architettonico e per promuoverne il restauro conservativo. Dopo altri anni d’“oblio” e d’“impotenza” tamponati alla meno peggio dall’associazione, l’8 settembre 2012 è stato inaugurato un cartello informativo all’ingresso, tra la strada ed il tempietto, che ricostruisce il “viaggio nella storia” del Lazzaretto.

Gli interessi del Fai non avrebbero dovuto riguardare solo l’agglomerato monumentale ma pure il terreno circostante di tre ettari perché venisse “trasformato” in un qualcosa di turistico, ambientale e sportivo. Come fase iniziale, il Fai ha avuto il compito d’eliminare erbacce ed arbusti e di “purgare” il suolo dall’insidiosa presenza di eventuali bombe “dormienti” ma ancora potenzialmente in grado d’esplodere.
Partite di calcio giocate in un’area da bonificare
Assurdamente, da ben prima e per anni, nel campo di fronte alla cupola-cappella, si sono disputate partite di calcio nonostante un avviso metallico all’esterno, verso il greto (illogicamente rivolto all’Adige e non alla strada od in direzione opposta da dove persone ed automezzi potevano arrivare) ammonisse: “Area da bonificare. Divieto di accesso per presenza materiale bellico, ordinanza n. 465 dell’11-6-98”.

Lo “scheletro” rimasto della porta di calcio (poi tolta di mezzo) testimoniava quei tempi carichi non di bombe ma d’agonismo amatoriale e gela il sangue pensare che i calciatori alla buona avessero giocato a lungo su un terreno potenzialmente… minato, anche se quel perimetro dovrebbe essere stato interessato da una bonifica da parte della Direzione Lavori del Genio Militare, Sezione Sminamento.
Il Fondo, in seguito, ha eseguito una campagna di rilievo fotogrammetrico ed un’analisi di qualsiasi materiale scampato alla distruzione ed attinente alla costruzione originale. Azione in vista della riqualificazione del Lazzaretto perché potesse assumere il ruolo di protagonista del Parco dell’Adige Sud. Un progetto globale permesso dal fondamentale contributo della Fondazione Cariverona.
Prima dell’installazione completa della rete di recinzione (con vari alberi longevi impropriamente tagliati, in contraddittoria mission del Fai), i molti varchi alla cinta parziale e la mancanza di chiari e semplici avvisi di “divieto d’accesso” avevano consentito a chiunque d’entrare nell’area sottoposta agli interventi di bonifica e recupero. E di metter le mani su quanto gli operatori lasciavano qua e là di rinvenuto. Comprese bombe e pallottole che, per quanto anzianotte, avrebbero potuto far danno agli incauti “recuperanti” od ai destinatari ultimi dei souvenirs di guerra.
Dal Fai all’associazione Amici del Lazzaretto
Purtroppo, i buoni propositi del Fai secondo i termini di convenzione con il Comune di Verona si sono scontrati con l’emergenza pandemica da Covid-19, il conseguente blocco delle consuete attività (come le Giornate Fai di Primavera, eventi nazionali dedicati al patrimonio d’arte e cultura in Italia) e la crisi di fondi reperibili per portare avanti iniziative in corso.
Per procedere al definitivo riassetto conservativo del Lazzaretto, si ventilava che sarebbero stati necessari alcuni milioni di euro non disponibili e per questo il Fai, informavano i media a metà luglio 2020, è stato costretto a dare forfait con la risoluzione dell’accordo e con l’affidamento della gestione all’Associazione Amici del Lazzaretto costituita dall’architetto Anna Braioni.
Risorto dal degrado assoluto grazie al Fai, oggi l’isolato nucleo edificato tra i secoli XVI e XVII è affidato alle “paterne” e lodevoli cure del volontariato più attento e sensibile, propenso a far di tutto per scongiurare ritorni alla rovinosa incuria che fu…
Il Lazzaretto oggi













Rottami e rifiuti nei pressi del sito




Servizio e foto di
Claudio Beccalossi
Un Lazzaretto con musica e teatro
Le associazioni Pro Loco Lazzaretto e Culturale Amici del Lazzaretto hanno organizzato la decima edizione de L’estate al Lazzaretto, con eventi serali dall’inizio alle ore 21:10.
Ecco gli eventi ancora in programma (ad ingresso gratuito):
sabato 16 luglio, spettacolo di musica celtica dal titolo “Viaggio tra le corde”, eseguito da Ensemble Corde Celtiche;
sabato 30 luglio, serata multimediale per grandi e piccoli dal titolo “Don Chisciotte”, di e con Gek Tessaro;
venerdì 5 agosto, reading musicale di Massimo Totola dal titolo ”Invana dis-obbedienza Tiresia e le visioni dell’invisibile”, con Sbibu e Leonardo Sapere;
sabato 20 agosto, spettacolo di world music dal titolo “Vite”, eseguito da Orchestra Mosaika;
sabato 27 agosto, spettacolo di parole e musiche da Beppe Fenoglio (Giuseppe Fenoglio, scrittore, traduttore e partigiano, Alba, Cuneo, 1° marzo 1922 – Torino, 18 febbraio 1963), nel centenario della nascita, dal titolo “Lontano dietro le nuvole’” di Enrico De Angelis, con Camilla Baraldi, Alberto Misuri, Ilaria Peretti e Margherita Sciarretta, con la regia di Manuela Pollicino.
Informazioni e contatti:
Ingressi limitati con prenotazione obbligatoria
tramite messaggio WhatsApp al numero 379 2651331 indicando:
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La prenotazione viene confermata con messaggio di risposta. In caso di disdetta si è pregati di avvisare per tempo, almeno il giorno prima.