Verona rende omaggio ad un suo illustre concittadino, il prof. Vittorino Andreoli, dagli illustri 81 anni d’età (è infatti nato il 19 aprile 1940). Un folto pubblico (600 era il numero massimo di ammessi con prenotazione obbligatoria) presente nell’auditorium della Gran Guardia, nel tardo pomeriggio di ieri, ha tributato sia gli auguri (in ritardo) per la soglia degli 80 anni raggiunta in pieno lockdown e per la sua luminosa carriera, prima di tutto quale medico, ricercatore, psichiatra e neurofarmacologo e, poi, come produttivo saggista, scrittore e poeta. E collaboratore della rivista “Mente e Cervello” e del giornale “Avvenire”, ospite spesso e volentieri di trasmissioni televisive (“Porta a porta” di Bruno Vespa, “Maurizio Costanzo Show” ecc.)

A fare gli onori di casa è stato lo stesso sindaco di Verona, Federico Sboarina, tracciandone a grandi linee la prestigiosa biografia internazionale prima di consegnargli dei riconoscimenti a nome del Comune: una targa con la dedica “La Città di Verona all’illustre concittadino Prof. Vittorino Andreoli psichiatra e accademico di fama mondiale, che mai ha dimenticato il legame con la sua città di origine” e le chiavi della città.
Poi, il prof. Andreoli, con pacatezza talvolta esplosa in veementi moniti a contemporanee amenità, ha tenuto una sorta di lectio magistralis sul suo percorso umano e professionale, sui lontani tempi in cui varcò la soglia dell’ospedale psichiatrico provinciale di San Giacomo di Tomba, sui periodi di lavoro a Cambridge (Gran Bretagna) ed a New York e ad Harvard (Usa) fino al ritorno in Italia per il “mal di Verona” di cui era affetto.
Ragionando con abilità analitica su vari spunti, ha voluto dir la sua sulla pandemia da Covid-19, sottolineando, però, di non essersi mai volutamente lasciato andare a dichiarazioni sull’argomento tenendosi “fuori da questo spettacolo triste, di persone che con la veste della scienza, della medicina si contraddicono l’un l’altra, mostrando una sapienza che deriva dal narcisismo. Perché sappiamo poco dell’uomo e del cervello, sappiamo poco del virus che ha prodotto questo trauma. Ma non dobbiamo distruggere la voglia che abbiamo di futuro e non dobbiamo distruggere la speranza. Perché la speranza serve a vivere”.
Ed ha continuato: «Vorrei cercare di trasmettere che cosa accade nella nostra mente quando viviamo dentro la paura ed in cui la società è la società della paura. Società che poi s’esprime in modo diverso, perfino negando la paura. Permettetemi di dirvi che io ho paura. Ma non voglio definirvi cosa sia la paura perché non ho che da rimandarvi alla consapevolezza di come vivete. Qualcuno non avrà la paura per sé, ma ce l’ha per i nipoti, per la famiglia, per la condizione economica. Assistiamo ad una regressione del comportamento perché la paura è, in qualche modo, un meccanismo di difesa che è proprio dell’uomo. La paura è un’avvertenza, è una percezione d’un rischio che ci permette di poterlo affrontare meglio e di superarlo».
Il prof. Vittorino Andreoli s’è soffermato pure su una grave fenomeno connesso alla pandemia ed al conseguente lockdown. «Bisogna pensare alle figure più fragili, gli adolescenti. In questi due anni i tentati ed i riusciti suicidi (che sono condizioni molto diverse) di adolescenti sono aumentati del 30%. Il dato fa capire che, prima di tutto, un adolescente fa del male a se stesso: il suicidio è un’eliminazione di sé, il tentato suicidio è un ultimo grido d’aiuto che viene dato».
Il luminare ha dato anche spazio, durante il suo affascinante ed applaudito soliloquio, alla gustosa performance (psichiatricamente a tema) nel monologo d’un ubriacone veneto da osteria, interpretata dall’attore veronese di scuola strelheriana Leonardo De Colle.
Claudio Beccalossi