Ben pochi si fermano davanti alla vecchia entrata in piazza Caterino Stefani dell’ex ospedale psichiatrico provinciale (come, appena interpretabile, sta ancora scritto sul portone in legno, sopra l’ammonimento “accesso vietato pericolo”) o manicomio di (od alla) Tomba per dare un’occhiata alle mura sopravvissute, poste di fronte alla sede della Circoscrizione 5^, in via Pasqualino Benedetti ed a poca distanza dal Policlinico “G. B. Rossi” di Borgo Roma.
Il diroccato, mesto ed anche lugubre avanzo d’architettura sanitaria extraurbana è, ormai, quel che rimane: calcinacci alla base della struttura, muri sbiaditi e scrostati invasi e seminascosti da piante rampicanti, vegetazione spontanea cresciuta al punto da sgusciare abbondantemente fuori delle inferriate arrugginite, imposte chiuse ma pericolanti al piano superiore, presunte statue sopra il portone d’ingresso malamente protette da un’intelaiatura di legno poco rassicurante, senso di squallore e decadenza generale. Soprattutto nel retro scampato, vedibile entrando nel Parco di S. Giacomo.
Insomma, pare un malato terminale quanto resta del manicomio sorto nel territorio di San Giacomo di Tomba, zona storicamente stabilita a ricovero e cura di malati sia fisici che psichici, fin dall’inizio del XVI secolo, periodo in cui venne spostato il lebbrosario ubicato prima in Basso Acquar, nel rispetto del collocare infetti e contagiosi lontano dal centro cittadino. Negli edifici attorno alla chiesetta di San Giacomo e Lazzaro (riedificata nel 1519), quindi, furono convogliati non solo lebbrosi ma pure affetti da malattie come scabbia e rogna. La disponibilità, dapprima, fu rivolta agli uomini e per le donne si trovò soluzione nel 1565, in un immobile riservato a loro.
L’edificazione del Lazzaretto nei pressi di Porto San Pancrazio, terminata nel 1628, provocò il declino del luogo di degenza fino alla sua chiusura nel 1797 ed al trasferimento dei pazienti nell’ospedale veronese della Misericordia. Nel tempo, però, si rese indispensabile un complesso destinato ad assistere i malati di mente e, quindi, il luogo di cura di San Giacomo tornò in ballo per essere interessato a lavori di ristrutturazione conclusi con l’inaugurazione del 2 luglio 1880 che ne decretò l’entrata in funzione.
Poco alla volta vi furono fatti confluire malati psichici dell’ospedale civile e dei manicomi centrali veneti di San Servolo e di San Clemente, isole della laguna di Venezia. Primo direttore fu Caterino Stefani, al quale è stata dedicata l’attuale piazza dove campeggia la malandata facciata del nosocomio. Il personale sanitario consisteva in medici, infermieri laici e suore, con una colonia agricola attorno dove trovavano occupazione i degenti che appartenevano, perlopiù, all’ambiente contadino.
Nell’Archivio storico della psichiatria veronese, complesso archivistico conservato presso il Policlinico “G. B. Rossi” di Borgo Roma (Biblioteca, Sezione di Psichiatria e Psicologia clinica dell’Università degli studi di Verona), sono presenti importanti fotografie dell’opera d’am-pliamento del manicomio provinciale scaligero scattate dal patriota e fotografo Giuseppe Bertucci (Bardi, Parma, 1844 – Verona, 1926). Ed una copiosa documentazione (circa 500 foto) sulla quotidianità del luogo si deve al fotoreporter inglese John Phillips (Bouïra, Algeria, 1914 – Manhattan, New York City, Usa, 1996), chiamato nel 1959 dallo scultore Michael Noble (nato in Scozia nel 1919 e morto in Costa Azzurra nel 1993) che, nel 1957, aveva allestito un atelier di pittura e di scultura nel parco dell’ospedale di San Giacomo, con l’approvazione degli stessi psichiatri. In occasione della presenza attiva di Phillips per un mese, i pazienti erano ben 1.400. Nel laboratorio aperto da Noble si distinse il ricoverato Carlo Zinelli (San Giovanni Lupatoto, Verona, 1916 – Chievo, Verona, 1974), destinato a diventare un importante e noto esponente dell’Art Brut, appoggiato anche dall’allora ancora studente universitario Vittorino Andreoli (Verona, 1940), oggi famoso psichiatra e prolifico scrittore.
L’ospedale psichiatrico provinciale resistette fino alla fine degli Anni Sessanta del secolo scorso, cedendo alla constatazione dell’apparato esistente ormai obsoleto in rapporto a moderne tecniche di cura dei malati mentali. L’amministrazione provinciale di Verona decise di chiudere il complesso di San Giacomo e d’erigere un ospedale psichiatrico ex novo nella frazione di Marzana, decretando l’ingloriosa e lenta decadenza delle vecchie strutture, con padiglioni che vennero demoliti per costruire, in quella superficie, l’attuale policlinico (con lavori iniziati nel 1963, conclusi nel 1969 ed inaugurazione del Centro Ospedaliero Clinicizzato di Borgo Roma il 20 settembre 1970). Il manicomio terminò definitivamente le sue funzioni tra il 1969 ed il 1970 ed i malati trovarono ricovero nel nuovo ospedale provinciale neuropsichiatrico di Marzana.
Quasi costrette dagli eventi a stare in disparte, rimangono comunque varie vestigia dei tempi andati di cura psichiatrica. Oltre all’ingresso affacciato su via Golino, la chiesetta dei santi Giacomo e Lazzaro, la palazzina di Psicologia medica ed altri residui strutturali, rovine consegnate al disinteresse ed all’abbandono nonostante studiosi e ricercatori che hanno scritto sul tema. Come gli autori Renato Fianco ed il suo “L’asilo della maggior sventura. Origini e sviluppo del manicomio veronese di San Giacomo di Tomba (1880-1905)”, Cierre Edizioni, Verona, 1992 e Maria Vittoria Adami con “L’esercito di San Giacomo. Soldati e ufficiali ricoverati nel manicomio veronese (1915-1920)”, Il Poligrafo, Padova, 2007.
Che la buona sorte, più che la buona volontà dei contemporanei, assista e preservi ancora a lungo il lascito strutturale in precaria rovina del dolente manicomio che fu. Sarebbero comunque opportune delle tabelle informative sui trascorsi storici del defunto ospedale psichiatrico provinciale davanti all’ex entrata e nel parco…
Claudio Beccalossi