Vivacchiano nel disinteresse dei più, nella quasi illeggibile decadenza, nella riparazione fai-da-te di chissà chi, nella curiosità mal soddisfatta dei turisti le iscrizioni marmoree che sanciscono e commemorano i livelli raggiunti dalle drammatiche esondazioni del fiume Adige a Verona.
Storicamente in aperto conflitto con i capricci del corso d’acqua, i fragili argini vennero messi in sicurezza (talvolta ancora incerta) tra il 1887 ed il 1894 con alti muraglioni ed interramento del canale dell’Acqua Morta, dopo la disastrosa e cruenta inondazione avvenuta tra il 15 ed il 18 settembre 1882. Forse il più devastante straripamento subito dalla città che provocò 11 morti, più di 420 case coinvolte, tre ponti fuori uso (ponte Nuovo e ponte Aleardi distrutti, ponte Navi pericolante), una ventina di molini travolti o dispersi dall’acqua, 27 ruote idrofore abbattute, opifici disfatti nella zona industriale dell’Isolo.
La maggior parte delle targhe incastonate in mura vicine alle rive dell’Adige, vedibili tutt’oggi, riguardano, appunto, quel tragico capitolo del 1882. Ma non mancano anche altri riferimenti a piene di secoli addietro. Non quelle più remote (del 589, ad esempio) ma del millennio passato.
Sulla facciata della chiesa di Santo Stefano, tra vari graffiti di rievocazioni di avvenimenti, viene ricordata l’alluvione del 1195 mentre un affresco nella basilica di San Zeno ne rammenta un’altra del 1239. Nel XIX secolo, prima del più drammatico di settembre 1882, ci furono straboccamenti nel 1835 e nel 1868.
Un’epigrafe in latino decifrabile a fatica (e, quindi, bisognosa d’un restauro), sulla facciata della chiesa di San Tomaso Becket (nota come di San Tomaso Cantuariense), in basso, cita: DIE 2 SEPTEM 1757 / ATHESIS / VSQVE AD HANC LINEAM / CONFREGIT TVMENTES FLVCTVS (Il 2 settembre 1757 l’Adige raggiunse questo livello con le sue gonfie ondate).
Durante l’evento si distinse per l’eroismo e la prontezza di spirito Bartolomeo Leone (detto il Rubele a causa dei suoi capelli rossi, nato a Cerro ed abitante a Poiano), facchino e bracciante. Legando insieme delle scale riuscì a raggiungere ed a portare in salvo due donne e tre bambini bloccati dalla furia delle acque sulla torre del ponte Navi scaligero dalle due arcate già travolte. Per questo suo gesto audace gli venne offerta una generosa somma di denaro ma Bartolomeo rifiutò, andandosene per i fatti suoi. Soprannominato dall’entusiasmo popolare “il Leone della Valpantena”, ebbe il riconoscimento della città con l’intitolazione d’un lungadige e d’una scuola.
Due lastre di marmo consumate dal tempo e dall’incuria, ricordo ai postumi di due diverse piene, sono presenti in lungadige Porta Vittoria, a destra rispetto all’ingresso al Museo civico di storia naturale di Palazzo Pompei. Assolutamente da recuperare, come altre ai lati del fluire cittadino dell’Adige!
Pure le due dipinte in nero alla meno peggio (di cui una con datazione dubbia) in via San Zeno in Oratorio.
Saranno censite e riqualificate come meritano queste memorie dell’ispida convivenza tra Verona e l’Adige?
Servizio e foto di
Claudio Beccalossi