Graffiti di memoria che stanno lentamente cedendo il passo alla perdita del colore originario, alla definitiva cancellazione. Nella flebile, forse illusoria speranza che quanto di sopravvissuto trovi finalmente salvaguardia, restauro, catalogazione, inserimento senza spocchia nella genuina storia locale.
Si tratta di quanto resta della segnaletica a muro della protezione antiaerea adottata durante la Seconda guerra mondiale anche a Verona. Le particolari indicazioni vennero realizzate pitturando su superfici murali esterne (ma pure negli stessi spazi interni adibiti allo scopo) sigle, simboli ed avvisi di sicurezza generale da rispettare rigorosamente e che contraddistinguevano ubicazione e tipologia dei rifugi destinati alla salvaguardia da bombardamenti della popolazione civile, preavvisata ad affluirvi da sirene di preallarme (o piccolo allarme) e da segnale d’allarme (o grande allarme).
I simboli servivano pure a facilitare l’individuazione, in caso di necessità, delle uscite di sicurezza dei rifugi e degli attacchi per gli idranti, in caso d’intervento delle squadre di soccorso in malaugurato caso di riparo colpito dalle bombe. Come purtroppo avvenne nel corso del micidiale bombardamento attuato dall’Usaaf (United States Army Air Force) il 28 gennaio 1944 che colpì il rifugio sotterraneo situato all’angolo tra gli attuali via Carlo Alberto Dalla Chiesa e stradone Santa Lucia facendo una strage di innocenti.
Subordinati a specifiche normative (istruzione sulla Protezione antiaerea, un decreto del Duce, ordini di servizio del Governatorato di Roma, disposizione del ministero dell’Interno, circolari varie ecc.), le sigle ed i segnali distintivi della protezione antiaerea hanno scandito la vita quotidiana veronese durante la guerra, soprattutto nel lungo, tragico stillicidio di duri bombardamenti ad opera dell’Usaaf e della Raf (Royal Air Force) dal 25 settembre 1943 al 20 aprile 1945 (lasso di tempo post 8 settembre 1943 in cui Verona subì, secondo cronologia, la serie di maggiori attacchi aerei).
In città sono ancora visibili, chissà per quanto ancora, alcune scritte superstiti inerenti a rifugi. Come quella in vicolo Cavalletto 4 indicante un ricovero casalingo.
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Od un’altra sulla facciata anteriore, a destra, delle “scuole comunali” (come recita ancora la scritta sull’edificio, in alto) in via Tombetta 108, cioè della scuola elementare “Edmondo De Amicis”, che contrassegna un rifugio notturno con una capienza di 300 posti. Quest’ultimo è uno dei pochi “reperti visivi” del periodo bellico che viene mantenuto in vita tramite periodici restauri di terzi sensibili per il bene storico comune.
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Altre sigle risalenti agli anni dei bombardamenti su Verona sono presenti in piazza Pradaval, in stradone San Fermo, in via Adigetto, in via Cappello, in via Cesare Battisti, in via del Bersagliere, in via del Pontiere, in via Gianbattista Da Monte, in vicolo Dietro Caserma Chiodo, in via Leoncino, in via Scalzi, in corso Porta Nuova, sotto i portici del Museo Lapidario, in via Mazzanti. A stragrande maggioranza ora quasi illeggibili, stinte, dimenticate.
A parte qualche raro intervento privato di preservazione, prevale il disinteresse istituzionale e culturale per questi lasciti della città in guerra che, invece, andrebbero tutelati, censiti e mappati. L’evidenziatore richiama ad interventi di minimo (e ben poco costoso) restauro generale che non si riducano a cercare col lanternino chi, tra Tizio, Caio e Sempronio, abbia responsabilità ad agire.
Servizio e foto di Claudio Beccalossi
Sotto la Madunina. Ricovero di guerra, salto nel tempo
Milano – Scendere con Romano Cramer del Movimento Nazionale Istria Fiume Dalmazia a curiosare in una delle cantine d’un palazzo all’angolo tra le vie Galvano Fiamma ed Archimede (adibita nel recente passato a magazzino di materiale e d’archivio dell’organismo di cui lui è oggi presidente), costituisce quasi una sorta di salto nel tempo.
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L’ambiente sotterraneo, infatti, pare essersi fermato ai bui anni della Seconda guerra mondiale, quando il luogo fungeva da ricovero dalle incursioni aeree alleate su Milano. Lo testimoniano le scritte tuttora presenti sui muri dei corridoi, con frecce ed indicazioni “al ricovero” e “uscita di soccorso”. Flashback storico celato in un ambito inaspettato non solo dall’estraneo di turno, il rifugio d’un tempo in guerra ha fossilizzato se stesso perché l’uomo contemporaneo constati e rifletta.