Gli organizzatori avevano provato a regalare emozioni agli appassionati sin dalla costruzione del Tour de France 2020. Il disegno della Grande Boucle prevedeva, infatti, pochissimi chilometri a cronometro (solo trentasei), poche tappe per velocisti (cinque o sei) e molte per passisti e scalatori, nonché trappole e percorsi non scontati ovunque. Secondo alcuni, tutto era preparato per il beniamino locale Julian Alaphilippe, quarto nel 2019, arrivato, però, con ben poche ambizioni di classifica al via.
Alla teoria è seguita la pratica?
In verità, prima del grande ribaltone finale, tatticismi e partite a scacchi avevano comandato in molte giornate di gara, con le vere battaglie lasciate ai cacciatori di fughe, e con i favoriti che si erano limitati a scontrarsi negli ultimi chilometri, dopo aver fatto lavorare a fondo i compagni di squadra.
La sintesi
In una corsa spostata a fine agosto per l’emergenza Covid, ha trionfato Tadej Pogacar, ventunenne al suo primo grande successo in carriera. Lo sloveno ha rovesciato i pronostici il penultimo giorno, scippando la maglia gialla al favorito, il connazionale Roglic, rifilandogli quasi due minuti nella cronometro conclusiva. Il Tour pareva già scritto con il vincitore della Vuelta 2019 (primo per undici giorni) a controllare i suoi più immediati avversari (Pogacar, Landa e Porte). Pochi gli scampoli di spettacolo lasciati al pubblico, e limitati ai tratti finali degli arrivi impegnativi. E, invece, il 19 settembre è andata in scena per Primoz una tragedia degna degli autori greci. Forse solo Francesco Casagrande nel Giro del 2000 al Sestriere, o i fratelli Schleck nel Tour 2011, hanno subito smacchi simili in tempi recenti (senza voler dimenticare il compianto Fignon nei finali shock del Giro 84 e Tour 89). Per Pogacar, comunque, un successo meritato. Porta a casa tre vittorie parziali e tre maglie di leader (scalatori e giovani, oltre che la maillot jaune). A Roglic solo la soddisfazione di Orcieres-Merlette e il rimpianto di non aver osato. Terzo a 3’ 30” ha chiuso l’eterna promessa Porte. Ai piedi del podio gli spagnoli Landa e Mas. I numerosi colombiani in gara (compreso il vincitore uscente Bernal), tutti accreditati di discrete speranze di classifica, sono, invece, la vera delusione di corsa. Bernal si è ritirato nella terza settimana di gara, quando ormai era già alla deriva, Uran ha chiuso ottavo in classifica e il “datato” Quintana è sparito presto dai radar. Solo Lopez si è salvato con un sesto posto e la vittoria di Col de la Loze. Menzioni particolati, infine, per Alaphilippe (vincitore a Nizza e in giallo per qualche giorno), Kamna e Andersen, veri combattenti, e in fuga quasi tutti i giorni. Bella storia, da libro “Cuore”, per il polacco Kwiatovski, giunto a La Loche Foron, primo e abbracciato al compagno Carapaz (vincitore del Giro 2019).
I pochi italiani in gara hanno collezionato solo ritiri (come il nostro Formolo), o piazzamenti. In classifica, Caruso ha terminato buon decimo.
La rivincita per gli azzurri è, però, già in calendario! L’edizione 103 del Giro d’Italia sta già (Coronavirus permettendo) scaldando i motori!