Un bene storico ben poco conosciuto e vedibile, in qualche maniera di fortuna, solo dall’esterno. È una chiesa dall’architettura romanica (stile ispirato al romano antico diffuso in Europa dalla fine del X secolo fin quasi alla metà del XII secolo, prima dell’avvento del gotico) che si trova all’interno d’un contesto rurale a corte privato, a lato di via Lazzaretto (nella zona periferica di Porto San Pancrazio) che porta, appunto, verso le vestigia del lazzaretto edificato nei pressi del fiume Adige tra il 1549 ed il 1628, su asserito progetto dell’architetto ed urbanista Michele Sanmicheli.
Nessuna indicazione o tabella ricorda ai contemporanei l’esistenza seminascosta del “misterioso” luogo di culto d’una volta, addossato ad altrettante pluricentenarie case ristrutturate e le notizie che si riescono a raccogliere a suo riguardo sono alquanto avare.
Il particolare nome della località in cui sorge è Saltuclo o Saltecchio e, quindi, è detta anche chiesa di (o del) Saltuclo o di (o del) Saltecchio. La costruzione risale, secondo alcune versioni, al X od all’XI secolo mentre su https://www.culturaveneto.it/it/beni-culturali/ville-venete/5d9491c63408bbc4405b9836 (di Cultura Veneto, ricchezze, percorsi, territori) la relativa Corte Moscardo, detta “San Pancrazio”, comprensiva di chiesa e campanile, viene attribuita al XII secolo.
Una prima indicazione della presenza dell’edificio sacro (dedicato ai santi Mammaso, Nereo, Achilleo e Pancrazio, di cui solo quest’ultimo, poi, venne assegnato alla venerazione) è del 1113 (o 1133), anno nel quale la madre badessa del monastero di San Michele di Campagna, di regola benedettina, mandò alcune sue monache a Saltuclo.
Si tramanda che le vicinanze del posto ebbero a che fare con l’eremitaggio del monaco tedesco Gualfardo (Augsburg/Augusta, 1070 circa – Verona, 30 aprile 1127), passato alla devozione come San Gualfardo di Verona (il nome tedesco Wolfhard col quale è pure noto, derivante dal termine wallfahrer, pellegrino, divenne Gualfardo in italiano). Sellaio, nel 1096 partì in un pellegrinaggio di gruppo e, arrivato nella città scaligera, vi si fermò per lavorare. Obbedendo alla vocazione e sentendone il bisogno interiore, decise di ritirarsi in un’esistenza da eremita, scegliendosi un luogo appartato nei paraggi di Saltuclo e dell’Adige dove visse isolato e nascosto per più di vent’anni.
Fu rintracciato per caso da dei barcaioli che, ritenendolo un sant’uomo, lo ricondussero forzatamente a Verona, venendo accolto dapprima presso la chiesa di San Pietro in Monastero, poi alla Santissima Trinità e, infine, come oblato, dai monaci camaldolesi di San Salvatore in Corte Regia. Trascorse il resto della sua vita in una cella separata dal convento, dove molti devoti andavano a trovarlo per ascoltare le sue dissertazioni sacre e per la sua fama di santità e di miracoli. Dopo la morte fu tumulato nella chiesa di San Fermo Maggiore (o chiesa dei Santi Fermo e Rustico).
Una stampa incisa da I. Brint su un disegno di Martin De Vos, pubblicato a Parigi (Jean Le Clerc, 1620) mostra l’eremita Gualfardo inginocchiato in raccoglimento accanto al fiume, poco lontano da un’imbarcazione con rematori.
Servizio e foto di Claudio Beccalossi
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